
10 dicembre alle 17 Più libri più liberi con Silvia Comoglio e Anterem

vivianascarinci@gmail.com
Tre membri della redazione di #Anterem e del #PremioLorenzoMontano #RanieriTeti, #LauraCaccia, #Silvia Comoglio raccontano alla Diaria le origini, le nuove pubblicazioni e la maturazione di un orientamento volto a una sempre maggiore attenzione alla #poesia scritta da donne.
Puntata numero 2 Diaria/o podcast stagione 2. Ogni primo del mese
Questa seconda puntata della Diaria è dedicata alla rivista Anterem e alla storia del premio Lorenzo Montano che affonda le sue radici nel passato ma che oggi, trasformata senza snaturarsi, costituisce una realtà vitalissima e necessaria nel panorama della poesia italiana contemporanea. Tre membri della redazione attuale Ranieri Teti, Laura Caccia, Silvia Comoglio raccontano alla Diaria le origini, le nuove pubblicazioni e la maturazione di un orientamento volto a una sempre maggiore attenzione alla poesia scritta da donne. Insomma ascoltando questo episodio saprete davvero tutto di questa realtà fondata da Flavio Ermini nel 1976 e così brillantemente evolutasi grazie al suo genio e alla redazione da lui diretta.
Ieri si è tenuto presso la Biblioteca Elio Pagliarani di Roma un incontro importante per la poesia. In un primo momento l’idea prospettata da Gabriella Musetti confesso mi aveva fatto tremare i polsi. Di primo acchito la creazione per la Società Italiana delle Letterate di un repertorio critico che illustrasse il lavoro di poete italiane e italofone, viventi, nate prima del 1970 può sembrare un’impresa tanto necessaria quanto impossibile.
Il primo motivo dei miei tremori, seguito però da un fremito di gioia, ha riguardato l’ampiezza che Musetti si è riproposta di coprire in termini di ricerca, attraverso un progetto editoriale strutturato con una profonda consapevolezza relativa alla sua esperienza di poeta, editrice e femminista posta al servizio di un repertorio critico intitolato suggestivamente Fuori dal canone. Per una storia della poesia italiana delle donne.
È infatti di questi giorni la presentazione al circolo della stampa di Trieste dell’associazione di promozione sociale Vita Activa Nuova che vede Gabriella Musetti tra le fondatrici. Vita Activa Nuova è dunque anche la casa editrice che si propone in prospettiva la pubblicazione del repertorio SIL delle poete italiane.
Il secondo motivo di tremore e poi di entusiasmo incondizionato, riguarda il fatto che si tratta di un progetto che per come è stato concepito insiste anche metodicamente su una difficoltà costante e comune. Una difficoltà spesso insormontabile cioè quella che affrontano le scrittrici, le poete e le critiche letterarie che si propongono di ricercare e di scrivere fuori dal confine del canone e di conseguenza fuori dalle categorie per così dire accreditate da un sistema di pensiero unico.
Del resto il discorso sulle problematiche del canone era stato precocemente declinato in termini politici e critici dalla SIL già nel 2015, attraverso una pubblicazione fondamentale che ha aperto la strada a molti discorsi pubblici sui limiti intollerabili che il concetto di canone impone che per fortuna si stanno tenendo oggi.
Gabriella Musetti in estrema sintesi a noi redattrici reclutate nel direttivo della Società delle Letterate tra coloro che si occupano a vario titolo di poesia (Elvira Federici, Loredana Magazzeni, Anna Toscano) ha chiesto di agire nella ricerca delle poete e delle curatrici/curatori più appropriate/i sulla base di un principio di accreditamento incentrato su un panorama molto più ampio rispetto a quello ristretto e ufficializzato da un canone letterario come minimo latitante quando funge da osservatorio sul lavoro delle poete.
Ho immaginato perciò che l’azione più utile che potessi intraprendere in prima battuta fosse quella di occuparmi il meno possibile, in veste di critica, delle poete che intendevo proporre all’attenzione della redazione del repertorio.
Per inciso l’unica poeta di cui ho scelto di occuparmi come critica in collaborazione con Luca Benassi è Lucianna Argentino Questo perché a mio avviso un repertorio critico che si configura sulla base di una tale vastità di vedute richiede di avvalersi il più possibile dell’analisi di critiche e critici specialiste/i delle soggettività poetiche che si considera di includere.
Pertanto ho iniziato il mio lavoro redazionale con la consultazione di quelle organizzazioni del mondo dell’editoria e di quelle realtà letterarie con le quali fossi entrata da tempo in contatto diretto attraverso la mia attività di poeta e critica di poesia. Si è trattato per me di una vera e propria consultazione messa in atto attraverso una rete relazionale formata da quelle entità che negli anni mi hanno portato a constatare personalmente quanto agissero con presupposti affini a quelli che il progetto del repertorio si propone in termini di indipendenza.
Una di queste è la redazione delle edizioni Anterem che bandisce da trentasei anni il Premio Lorenzo Montano. La loro attenzione critica di amplissima portata è testimoniata dal modo composito in cui la redazione si è strutturata negli anni e ha agito nell’analisi dei lavori poetici proposti loro esclusivamente sul vivo dei testi. Questo lungo corso di attenzione e indipendenza è evidente da quest’anno in particolare dalla netta prevalenza della pubblicazione di voci poetiche femminili di estremo interesse su cui la casa editrice veronese ha puntato.
Per quanto riguarda la funzione di osservatorio attraverso il web ho interagito con quelli che sono tra i punti di riferimento più accreditati soprattutto dalla qualità della loro ricerca e promozione nella poesia contemporanea. Uno di questi è il sito Poetarum Silva con Anna Maria Curci caporedattrice insieme a Fabio Michieli. Curci poeta, studiosa e traduttrice è, tra le altre, coinvolta nel repertorio come poeta e e come critica nell’analisi delle poete da includere.
Un altro di questi siti è Slowforward molto noto per la proposta di realtà poetiche tra le più attuali del panorama nazionale e internazionale. Marco Giovenale, poeta e critico, il creatore e promotore del sito è tra i curatori del repertorio attraverso l’analisi critica del profilo poetico di Mariangela Guatteri.
Il repertorio dunque riguarda il lavoro di poete la cui ricerca è ancora in corso di svolgimento. Credo che anche questo sia un segnale politico molto forte che il repertorio voglia dare. Per concludere vorrei sottolineare come questo criterio che ho sommariamente illustrato è stato possibile grazie a una politica di compilazione precisamente scandita affidata alle scelte soggettive delle redattrici, tutte come già detto poete e critiche letterarie.
Questa precisazione si dimostra opportuna perché è stato chiaro fin da subito che un repertorio critico il quale si proponga un’indagine sul presente della poesia italiana delle donne, debba avvalersi dell’esperienza maturata da soggettività e organizzazioni che si sono prefissate come assunto, un lavoro del tutto indipendente sui fenomeni della contemporaneità poetica, con ciò individuando criteri inediti e pertinenti al vivo di quelle ricerche poetiche che sono in corso di svolgimento.
“Ho voluto illuminarmi con la luce della mia carenza di luce” scrive Alejandra Pizarnik (1936-72) tradotta da Silvia Lavina, in un contributo pubblicato da Anterem 97 nel 2018 e ora riproposto nel tomo immacolato che Anterem edizioni pubblica per festeggiare il numero 100 della rivista: 372 pagine, 175 poete e poeti di ogni lingua e di ogni parte del mondo, in ordine cronologico per anno di nascita, dal 497 a.C. al 1987. Grande importanza alla traduzione dei testi affidata, come è prassi per quel che concerne le scelte redazionali di Anterem, spesso a poete e poeti italiani che sono anche traduttrici e traduttori di rilievo.
Non vi nascondo che sfogliando il volume e soffermandomi, inevitabilmente per me su Pizarnik, quelli illuminarsi della propria carenza di luce mi abbia riferito molto del senso e dell’importanza che ha, proprio ora, un’iniziativa editoriale riepilogativa di così ampio respiro. In un passaggio dell’introduzione all’opera infatti Flavio Ermini descrive, parlando di poesia, una circostanza che appartiene più che in passato ai nostri giorni, ai giorni di tutti, una circostanza che ci accomuna in una carenza che in poesia però è una condizione vitale e ineludibile a prescindere dai contesti e dalle epoche:
“Noi viviamo come sonnambuli in mezzo alle cose. Perdiamo il terreno sotto i piedi e sprofondiamo nel infondato. Abbiamo smarrito ogni via, siamo finiti nell’assenza di vie, nell’aporia. Come far coesistere due mondi inconciliabili? Come far accadere sulla stessa pagina la differenza che li separa?”
L’aporia è una cosa fantastica a saperla guardare senza spaventarsi. Per usare un termine che va di moda è la cosa più inclusiva che c’è. Tanto per cominciare il dizionario ci informa che un sostantivo e questo ci mette un minimo al riparo dall’ostilità simbolica che deriva dalla complessità metafisica del suo significato. Non come termine filosofico ma in riferimento al mondo reale, l’aporia è anche definita come un problema le cui possibilità di soluzione risultano annullate in partenza dalla contraddizione. Come se, fuori dalla manualistica, esistesse qualche problema che in ogni caso non fosse esposto a una contraddizione di un qualche ordine a moltiplicarlo più che a risolverlo. Come se dirimere una questione problematica significasse che la forza oggettiva delle cose, di cui nessuno può sapere fino in fondo i risvolti e il mistero, si possa sottomettere a una qualche prassi con cui ci hanno insegnato a risolvere i problemi filosofici e materiali in anni non pandemici.
La poesia per chi la conosce, e non è detto che la scriva, è inesorabile nell’aporia che la espone, come la primavera di quella vecchia canzone dei Banco. Illustra il corpo eversivo della parola. Ermini dice che la poesia dissolve ogni classificazione categoriale, scomponendo i collegamenti legislativi imposti socialmente e culturalmente, prescrive regole contro la grammatica e allarga il campo semantico di ogni segno fino a comprendere significati opposti. Aggiungerei: fino a farsi “vissuto” sciolto anche dall’atto di scrivere poesia.
Consistere in due o più mondi inconciliabili è un fatto. Ermini e la sua redazione si sono dedicati infaticabilmente a una ricerca entro questa molteplicità, suggerendo ad oggi e per domani, che il buio nel cuore della notte di un inverno come questo, non sta, come un’equazione matematica, alle strade diurne soltanto per via di una carenza di luce.
Ecco perché un libro come il numero 100 di Anterem introdotto da Flavio Ermini è quello che vi serve di leggere ora, che siate o non siate poeti.
Direttore di Anterem: Flavio Ermini. Redattori: Giorgio Bonacini, Laura Caccia, Davide Campi, Mara Cini, Rosa Pierno, Ranieri Teti.
Su Anterem in questo blog leggi anche La poesia è una persona e Piccole estensioni
PRIMA PARTE
Nel 1998 avevo 25 anni e Poesia pubblicata da Crocetti la trovai per la prima volta all’edicola del mio paese. Una sorpresa, la poesia non mi arrivava in quel caso come Anterem, per posta sotto forma di un prestigioso fascicolo, ma un giorno per caso l’ho trovata che mi guardava dall’edicola della piazza attraverso la foto di un volto di una persona che non era detto che fosse morta, anzi. Come per Anterem quelle persone agivano da vive, nei versi che scrivevano, evidentemente anche dentro la mia vita. Ricordo benissimo l’impressione che suscitò in me la lettura de L’infanzia dei nomi di Giorgio Bonacini trovata su un numero di Anterem quando quel poema era ancora in uno stato germinale, e quanto quel precedente che ha legato la mia formazione di poeta a quella rivista, abbia reso il mio lavoro di scrittura potenzialmente foriero di tutto il nuovo che ha più o meno potuto esprimere poi.
Il numero 358 di Poesia non è che ci sono partita da casa per comprarlo perché in quel caso avrei dovuto giustificare l’uscita come di stringente necessità. E a dirvela tutta in tempi di lockdown dire alla Municipale che una rivista di poesia può rientrare in quella casistica, mi è sembrato rischioso. L’ho invece comprato in quella stessa edicola di fronte alla farmacia, in cui comprai il primo numero dei tantissimi acquistati poi, uno o due giorni prima di Pasqua quando ho avuto la giustificazione di andare in paese in quanto le preziose mascherine erano finalmente arrivate.
Perciò in maschera e con la mano guantata in lattice, ho finalmente potuto procedere all’acquisto rituale dell’ultimo storico numero in cui Poesia esce in quella che ormai era la veste editoriale di sempre. Poi da maggio 2020 non sarà più un mensile disponibile in edicola ma un bimestrale con il doppio delle pagine, da comprare in libreria: “Lo sforzo del cambiamento, la solidità e il prestigio di un editore storico come Feltrinelli, il lavoro di vecchi e nuovi collaboratori ci consentiranno di ampliare l’offerta di proposte, di articoli e di traduzioni dei maggiori poeti di tutto il mondo” leggo, e non mi consola, sull’editoriale dell’ultimo numero di un giornale che non troverò mai più all’edicola in piazza. In copertina il volto gentile ma per niente rassicurante di Nelly Sachs e all’interno tra l’altro Rimbaud, che recita il titolo dell’articolo in modo assai indicativo dati i tempi, fu un poeta che superò se stesso fino ad annientarsi.
Lo sappiamo, lo abbiamo detto, lo abbiamo ascoltato fino allo sfinimento, questa fase così densa e straniante data dall’immobilità da lockdown, al di là della retorica dell’#andratuttobene e dei soliti catastrofisti, riguarda tutto: l’amplificazione delle cose per quelle che sono, la metabolizzazione di un recentissimo a posteriori di ciò che era contemporaneo solo meno di due mesi fa, per non parlare della lotta di certe cose per restare tali mentre quelle che si vogliono nuove di zecca nascono alla luce perturbata di un oggi che arriverà a breve ma di cui sappiamo ancora pochissimo.
Comunque chi può si impegna in un adeguamento a una complessità ulteriore, che se non fosse così spaventosa sarebbe avvincente. Questo adeguamento lo sta mettendo in campo anche il mondo della poesia o per lo meno quello che concerne alcune scritture definite come tali o movimenti performativi che emergono sotto questo nome insieme alla loro analisi e diffusione.
Anterem che quest’anno bandisce la trentaquattresima edizione del Premio Lorenzo Montano (qui il bando a scadenza 30 aprile) include la possibilità dell’invio in formato pdf anche relativamente ai libri editi partecipanti. E con l’occasione la redazione mette in consultazione gratuita online attraverso il suo sito, il consueto Carte nel Vento, (disponibile qui) periodico del premio che propone la presentazione delle opere segnalate e finaliste dell’edizione 2018: “Tutte le opere sono introdotte dalle note della redazione di “Anterem”: senza definizioni generiche, abbiamo cercato anche questa volta di accompagnare le poesie e le prose qui contenute con spunti di lettura originali”.
Anterem è una rivista letteraria fondata nel 1976 e nasce come un laboratorio fortemente orientato alla ricerca nell’ambito della poesia della contemporaneità. L’impegno, come scrive la redazione “riguarda la natura stessa del pensiero poetico. Concretamente, “Anterem” è il risultato del confronto tra ricerca poetica individuale ed elaborazione teorica collettiva”. Dunque un dialogo niente affatto scontato che è avvenuto entro un arco di tempo molto esteso tra uno dei modi in cui si può intendere la specificità della poesia e il mondo di fuori. Il Premio Lorenzo Montano venne costituito per arrivare a questo, oltre che allo stesso fine è stato fondato un Centro di Documentazione sempre intitolato a questo poeta. Una continuità definita dall’appuntamento mai mancato con adeguamenti costanti, che hanno garantito anno dopo anno la pubblicazione delle sillogi inedite vincitrici in versione cartacea, e il lavoro di critica letteraria sui materiali tra editi e inediti pervenuti al premio, condivisi liberamente in rete attraverso pubblicazioni digitali. Anterem ha di fatto costruito, senza pregiudizi, una mappa spazio temporale di quello che è connaturato al variegato tessuto umano della produzione poetica italiana.
Non per fare l’ottimista che non sono ma a me pare che farsi pervadere da una necessità di adeguamento attraverso una mobilitazione e un’espansione delle possibilità fornite dalle risorse cui potenzialmente si ha accesso, sia un fatto che nella difficoltà dell’andamento passato e attuale è annoverabile tra quelli positivi, specie se parliamo di un frangente così specifico e di nicchia come quello della poesia.
Ad esempio l’adesione de il verri alla solidarietà digitale attraverso la possibilità di scaricare gratuitamente il numero 72 “La poesia fa male” è un buon segno che fa pensare a un desiderio/bisogno di maggiore diffusione relativa alla complessità di certe forme e modalità inerenti, inamovibili e chiuse in quanto tali. La rivista a lungo considerata tra le più importanti in Italia è stata fondata nel 1956 da Luciano Anceschi e ininterrottamente uscita nella sua versione storica fino al 1995 cambiando diversi editori e qualche volta autogestendosi, per poi riprendere l’uscita in una seconda fase dal 1996. Milli Graffi, attuale direttrice, attraverso l’editoriale del numero in questione descrive così il motivo del titolo nato intorno ad alcuni eventi riguardanti lo studio e la commemorazione della poesia di Nanni Balestrini: “La poesia fa male e La poesia fa bene […] estremi assolutamente compatibili e contemporaneamente presenti del linguaggio poetico. Può capitare che nel fare il male, si susciti il bene. E viceversa nel fare il bene (tema che Balestrini ha in seguito ampiamente sviluppato in tutte le sue poesie sul pubblico della poesia) capita che si finisca col produrre una ragguardevole quantità di ipocrisia”.
Di questo numero 72 mi ha molto colpito l’intervento di Chiara Portesine nell’articolo «Bien recueilli, débouté de chacun»*:la missione del critico (accademico). Portesine inquadra per altri versi un aspetto della specificità, stavolta relativa alla critica letteraria che riguarda la poesia, di cui ho avuto modo di parlare attraverso una citazione dal Dopo il covid-19 di Leonardo Caffo (qui) che invece si riferiva alla specificità della filosofia. Scrive Portesine:
“Prendere la parola a proposito di uno ‘stato attuale della critica’ significa accettare preliminarmente una divisione schizofrenica tra due settori di produzione del sapere (l’Accademia e la ‘militanza digitale’) che si esplicitano, nella prassi, in due piattaforme di riproduzione e divulgazione dei contenuti rigidamente perimetrate (le riviste di settore e i blog). A ogni settore la sua narrazione irrelata, un’autofiction della letteratura e dei suoi ‘operatori’ che racconta due campi d’applicazione e due ‘tipi’ umani diversi”.
Non per fare la pessimista che non sono ma se ho capito bene la questione della specificità impegnata nell’esclusivo sondaggio delle proprie complessità così come l’autofiction degli operatori dei diversi settori culturali impegnati nella militanza digitale, produce narrazioni irrelate. Ma che cos’è una narrazione irrelata quando parliamo di poesia o di romanzo? Non che io conosca la risposta. Detto tra noi una cosa che mi solleva è quella di non sapere rispondere a una domanda come questa, da cui può nascere un allettante ginepraio di indagini alla volta di mete pressoché impensabili, questo sia scrivendo romanzi e poesie in proprio, sia ragionando su quelli di altri. Ma il fatto che proprio “ora” l’open sources di molte pubblicazioni diverse tra loro, inizi a inquadrare il problema in termini di “tipi umani” ossia di persone e di comportamenti precipui che definiscono nel bene e nel male l’applicazione delle loro discipline nel contesto social(e), è bello, almeno io lo trovo bello e liberatorio.
L’applicazione e esclusiva dedizione alla propria disciplina e il consenso diffuso alla autonarrazione come velleità, è possibile che, al di là del contesto e del linguaggio in cui avvengono, spesso sembrino un’operazione dello stesso segno? Ci fa male vederli entrambi come limiti appartenenti a un passato pericoloso in cui il mostro è stato soprattutto l’avvento di internet venuto a nuocere a certe accreditate ma rigide integrità cartacee e accademiche? O di contro che sia un bene che quello stesso mostro sia arrivato a promuovere e diffondere disordinatamente, e senza badare troppo a gerarchie e sfumature, contenuti prodotti da tipi umani che, con buona pace di chi vorrebbe diversamente, non sono poi così differenti tra loro e da chi li ha preceduti? Bisognerà che quelli che scrivono se lo chiedano specie ora che più di prima si può non riuscire a cogliere una realtà che quanto a irrealtà, è foriera di sorprese peggio della fantascienza.
A breve la seconda parte.
É prevista per aprile 2017 l’uscita di Annina tragicomica, edita dalla giovanissima editrice siciliana Formebrevi.
Si tratta di una storia suddivisa in settanta piccoli blocchi di testo con una prefazione di Anna Maria Curci. Formebrevi Edizioni è anche il motivo per cui ho deciso di pubblicare un testo anomalo come Annina ossia da non potersi dire appartenente a questo o a quel genere. L’editrice fondata da Giovanni Duminuco mi è apparsa, fin dal primo libro pubblicato nel 2016, come una no-eap in grado di fare scelte editoriali improntate alla ricerca letteraria programmatica ma non schierata.
La prima pubblicazione di Formebrevi, Le case dei venti contrari di Lia Maselli, infatti comunica l’entità di una scelta molto precisa rispetto alla propria linea editoriale: un’opera di una autrice esordiente nel genere del romanzo, ma così robusta da essere in grado di mantenere la prevalenza della propria cifra, sia sulle caratteristiche del genere in cui muove la sua narrazione, sia su possibili orientamenti tematici funzionali a una qualche sponsorizzazione, fosse anche variamente ideologica. La cosa mi ha sorpreso ma moderatamente. In tempi non sospetti ho conosciuto e apprezzato Dinamiche del disaccordo il libro di poesia d’esordio di Giovanni Duminuco edito nel 2013 da Anterem. Una raccolta poetica che già lasciava intravedere i possibili sviluppi di una ricerca letteraria in primo luogo praticata, più che alimentata nell’ambito di se stessa, attraverso la blanda teorizzazione della propria estetica.
Già in Dinamiche del disaccordo si intravedeva l’attitudine a una pratica di sistema che fa ossimoricamente della permeabilità all’anomalia, un tracciato sorprendente e perciò capace di rendere la propria unicità una comunicazione autentica e leggibile. E perciò senza la necessità di ricorrere a riferimenti già dati al fine di essere sostenuta da terzi.
Le pubblicazioni seguenti di Formebrevi da quella dello stesso Duminuco La ferita distorta dell’agire alla bellissima e dolente Della fine di Flavio Ermini, fino all’ultimo nato: In male aperto di Fabrizio Strada, non hanno fatto che confermare una propensione naturale di Formebrevi alla poiesis ossia un “fare dal nulla” che trova coerenza e concretezza nel diversificare i propri orientamenti originari.
Per questi motivi, la mia Annina tragicomica, per mantenersi integra nella sua anomalia, poteva trovare la sua collocazione naturale nell’ambito di queste pubblicazioni.
Così come ha trovato terreno l’ipotesi di collaborazione, nel senso di piccolissima e indipendente produzione editoriale, tra il Fondo Librario di Morlupo che rappresento e Formebrevi rappresentata da Giovanni Duminuco la cui fattività degli sviluppi, speriamo, si vedrà da qui a breve.
Contenuti del video: “Amanda fiore o tartaruga” reading. Premiazione Presidente I Circoscrizione Comune di Verona. Marco Furia, motivazione del conferimento. Francesco Bellomi, composizione su “Amanda” esecuzione e commento. Forum Anterem a cura di Flavio Ermini e Ranieri Teti.
Motivazioni del conferimento
di Marco Furia
Con “Amanda fiore o tartaruga” Viviana Scarinci propone un componimento che si colloca nel territorio comune a prosa e poesia, ossia in una regione ove certi confini non vengono aboliti, bensì, semplicemente, ritenuti inesistenti.
Prosa poetica? Prosa d’arte di novecentesca memoria? Le definizioni poco interessano.
Interessa invece la presenza di una scrittura capace di superare, con agile consapevolezza, ogni rigida classificazione dei generi letterari: a Viviana non importa definire che cosa sia prosa e che cosa sia poesia, poiché le preme soprattutto esprimersi in maniera consona.
Elabora, così, uno stile leggero, quasi volatile, eppure complesso, ossia tale da promuovere articolate cadenze che, pur non soffermandosi, tendono a persistere.
Una pronuncia mi è parsa particolarmente significativa:
“Poteva essere quel ripiegamento il corollario della dismissione focalizzato di ogni petalo il non farsi corolla”.
Il petalo esiste anche se non è parte di una corolla, possiede una propria individualità, non è necessariamente un frammento di qualcos’altro.
A questa scrittura, senza dubbio, non è estraneo il carattere enigmatico, ma simile aspetti, lungi dal costituire una sorta di misteriosa dimensione esterna, quasi aggiunta, è il cardine attorno al quale ruota un vivido divenire linguistico che, non rifiutando del tutto il nesso logico, considera tale nesso una semplice possibilità del dire.
Scrive la poetessa:
“l’accaduto rinvenirlo a posteriori”
Indicando in quell’ “a posteriori” un certo modo di esistere nel (e con il) linguaggio consistente non in ragionamenti, bensì in prese d’atto verbali direttamente collegate ai loro oggetti: la scrittura, qui, tende con evidenza a ridurre al minimo lo spazio tra se stessa e la vita, tra ciò che si può narrare e ciò che è.
Insomma, se riconosciamo un mentre e un dopo, il racconto, con la sua sistemazione canonica, si delinea nel dopo.
La scrittura di Viviana aspira a svolgersi nel mentre?
A mio avviso, sì.
vedi: Piccole estensioni (Anterem 2014) e Francesco Bellomi su Piccole estensioni
Il testo integrale di Marco Furia
Con Piccole estensioni, opera vincitrice del Premio “Lorenzo Montano” 2014, Viviana Scarinci presenta una raccolta in cui prosa e poesia si alternano. Prosa e Poesia? Mai come in questo caso la differenza tra generi letterari appare non idonea a definire una scrittura capace di snodarsi, sicura, per via di vivide pronunce testimoni di un esistere consistente nel suo stesso idioma.Continua a leggere “Su Gradiva una recensione di Marco Furia a Piccole estensioni”
Francesco Bellomi, Conservatorio di Milano, FORUM ANTEREM 2014 (a cura di Flavio Ermini e Ranieri Teti) Verona 15 novembre 2014 Biblioteca Civica. Conferimento del XXXVIII Premio di Poesia Lorenzo Montano. Info http://www.anteremedizioni.it/
La raccolta Piccole estensioni è vincitrice della XXVIII edizione del Premio di Poesia Lorenzo Montano promosso da Anterem Edizioni. Il libro contenente testi scritti tra agosto 2013 e marzo 2014, sarà pubblicato a cura di Anterem con prefazione di Giorgio Bonacini. Francesco Bellomi, docente del Conservatorio di Milano, dedicherà all’opera una composizione musicale che sarà eseguita nell’ambito della premiazione che avrà luogo nel mese di novembre 2014. Il Conservatorio Statale di Trento “F.A. Bomporti” sezione di Riva del Garda, organizzerà in Italia e in Europa una serie di convegni e concerti che prevedono l’esecuzone delle musiche originali dedicate a tutti vincitori del premio.
Le opere dei vincitori per tutte le sezioni in cui il Premio si articola (“Raccolta inedita”, “Opera edita”, “Una poesia inedita”, “Una prosa inedita”, “Opere scelte”) verranno immesse in canali distributivi e di conoscenza che fanno capo a critici, poeti, abbonati, estimatori, biblioteche civiche e universitarie. I poeti vincitori, finalisti e segnalati leggeranno i propri testi nel corso di un grande forum multimediale che coinvolgerà musicisti, editori di poesia, critici letterari e filosofi, esponenti di siti web e riviste specializzate.
Anterem è una tra le riviste di poesia più autorevoli in Europa. Promuove la conoscenza di forme stilistiche e di pensiero che trovano nella necessità e nella bellezza le loro ragioni. Pubblica poesie e saggi degli autori più significativi della contemporaneità ed è oggetto di studio nelle principali università e nei licei. Ha periodicità semestrale e una tiratura di quattromila copie. È diffusa a livello internazionale. Notizie tratte dal sito http://www.anteremedizioni.it/