3 ottobre: come partecipare

Il libro di tutti e di nessuno. Elena Ferrante un ritratto delle italiane del XX secolo

SAGGISTICA

di Viviana Scarinci

nelle librerie da ottobre 2020

COMUNICATO STAMPA

L’editore Iacobelli pubblica un saggio monografico imprescindibile per comprendere l’opera di Elena Ferrante, dai romanzi alla serie TV con un ricco apparato bibliografico.

Il libro di tutti e di nessuno” Elena Ferrante un ritratto delle italiane del XX secolo” sarà presentato a cura di Tiziana de Rogatis sabato 3 ottobre alle 10,30 con il libro di Isabella PintoElena Ferrante. Poetiche e politiche della soggettività (Mimesis 2020) nel corso di Invisibili? Un evento di femminism3 organizzato da Società Italiana delle letterate, Leggendarie e Letterate Magazine. All’evento si potrà partecipare dal vivo prenotandosi via email: silcomunicazione@gmail.com o potrà essere seguito in streaming collegandosi con la pagina facebook della Casa Internazionale delle Donne di Roma.

L’ottica del saggio di Viviana Scarinci offre una pluralità di spunti  utili alla comprensione dei motivi dell’ascesa  di un fenomeno senza precedenti riguardo a un’autrice italiana, come recita la quarta di copertina del libro: ‘Questa appassionante monografia – un lavoro critico che appare come imprescindibile per studiosi e appassionati, ma anche per semplici lettori e lettrici – segue i temi, le trame e il linguaggio dei romanzi, dall’Amore molesto alla quadrilogia dell’Amica geniale – anche in versione serial TV – e ancora fino al recentissimo La vita bugiarda degli adulti.’

È l’autrice stessa a chiarire il punto di partenza della sua ricerca nel capitolo introduttivo: ‘È stato l’approccio dubitativo nei confronti della verità come dogma che probabilmente, oltre al coinvolgimento di milioni di lettrici e lettori, decine e decine di studiose e studiosi in tutto il mondo, si sono fatti portavoce di un vero bisogno di cercare “oltre”. Ossia quello di seguire il tracciato ferrantiano ognuno nel proprio ambito disciplinare, esprimendo la necessità creata da un vuoto speculativo: la ricostruzione di una genealogia femminile, la ricostruzione del rione come contesto di prossimità esclusivamente fisica, la ricostruzione di un concetto di periferia che si avvalga di un’inaspettata forza centripeta, la riconsiderazione del ruolo storico delle classi subalterne e soprattutto la marginalità scagionata dalla vergogna di non trovarsi al centro.’

Iacobelli editore inoltre sarà presente dal vivo con questa ultima pubblicazione e con i suoi libri a “Insieme festival lettori autori editoriAuditorium Parco della Musica di Roma allo stand 139 dal 1° al 4 ottobre, come indicato dagli organizzatori, nel completo rispetto delle norme anti-covid: “approdano a Roma i libri, gli scrittori, gli scienziati, i filosofi, gli artisti, i musicisti e i lettori, in una grande manifestazione dal vivo. Non una versione adattata dei tre festival, ma un nuovo format, adeguato alle esigenze dettate dalla situazione sanitaria’. Tutto quello che c’è da sapere qui https://insiemefestival.it/

L’autrice

Poeta e saggista, Viviana Scarinci ha pubblicato Neapolitanische Puppen. Ein Essay über die Welt von Elena Ferrante, ritratto letterario di Elena Ferrante tradotto da Ingrid Ickler (Launenweber, 2018) e l’e-book monografico Elena Ferrante (Doppiozero, 2014). Ha scritto tra gli altri per Nuovi Argomenti, Doppiozero, Il lavoro culturale, Nazione Indiana. Si occupa di Contemporanea fondo librario.


Il libro di tutti e di nessuno. Elena Ferrante un ritratto delle italiane del XX secolo

Pagine: 216

Data di pubblicazione: ottobre 2020

Isbn: 9788862526272

Euro 16,00

https://www.iacobellieditore.it/


UFFICIO STAMPA: Contemporanea fondo librario – cell. 333.2045759 

https://fondopoesiacontemporanea.wordpress.com/

Pubblicità

Tragedia e idillio

Il segreto per stare con la poesia senza farsi prendere dal panico della non comprensibilità è lasciare la parola al suo mondo aperto, al suo tempo non conclusivo

Mentre lavoro su un articolo che riguarda il romanzo storico di Felicitas Hoppe in stretto dialogo con la traduttrice italiana di Hoppe, e amica, Anna Maria Curci, ricevo nel flusso vitale di contenuti che ci scambiamo, le tre poesie che seguono. Qualche tempo fa, quando ci siamo sentite a voce, nel torrente di condivisioni reali e fertilissime che per fortuna hanno ancora luogo con qualcuna/o abbiamo ragionato insieme sull’abuso della parola distopìa. Le tre poesie tratte da Tragedia e idillio mi hanno riportato a quella conversazione.

Se prendessimo come chiave di lettura la parola distopìa credo che avremmo una possibilità in più di cogliere la poeta Anna Maria Curci nel suo approccio con il tempo presente tuttavia mediato attraverso figure della classicità (Psyche e Creonte ) e della natura (Elce). Il segreto per stare con la poesia senza farsi prendere dal panico della non comprensibilità è lasciare la parola al suo mondo aperto, al suo tempo non conclusivo. Del resto personalmente credo che non sia solo la poesia a chiedere di essere letta in questo modo.

Secondo una definizione comune la parola distopìa descrive la formulazione di una realtà immaginaria del futuro. Il romanzo distopico, ad esempio, è frutto di una previsione futura che si articola su elementi del presente i cui possibili sviluppi si prospettano nel senso di una pericolosa distorsione degli equilibri che non consentono all’umano una prospettiva di sviluppo auspicabile e positiva.

Ma quale può essere un metodo attraverso il quale l’immaginazione di una narratrice, o in questo caso di una poeta e traduttrice, formula una realtà fittizia del passato secondo la logica di una previsione in merito a figure mitologiche che sappiamo avere già avuto il proprio scenario in un altrove tutt’altro che presente? Una realtà postuma di cui in senso lato siamo comunque gli eredi culturali ma di cui la poeta ci fa pervenire notizia attraverso un’indagine che rende il perpetrarsi dell’umano in uno spazio tempo molto ridotto.

Non credo sia un caso che la terza poesia Elce prospetti l’immagine di un rifugio/riparo dalle temperie di un viaggio spazio/temporale in un’altra lingua non-madre rappresentata da un albero. Come se la lingua altra, la lingua dell’altra, fosse tutta nell’incubazione di quelle stanze secondarie, naturali, in cui cova un’alterità nativa, potente e anti-familiare, cui parlando dall’altrove pressoché murato della soggettività la poeta legge per tutte/i  una rivelazione che non può non riguardare il qui e ora.


Tragedia e idillio è un binomio che traggo dalle considerazioni che György Lukács formulava per indicare i due poli tra i quali si muovono le opere – le poesie così come le novelle –  di Theodor Storm.

Come in situazioni, personaggi e contesti nell’opera di Storm, così nelle espressioni del pensiero di ogni epoca è presente una parte irriducibile di scontro, di attrito, di resistenza a soluzioni imposte, a versioni di comodo, solo apparentemente pacificatorie. È una parte che si accompagna alla solitudine, alla messa al bando, all’esclusione. È una parte che percorre gli abissi e le vertigini del tragico e che, d’altro canto, sa distinguere tra ciò che è materia tragica e l’osceno.

Quelli che attraversiamo, e che ci attraversano, devastando e scarnificando a piccoli e grandi passi, sono i tempi dell’osceno. Per quanto tranquillizzante possa apparire, per quanto impomatate siano le sue chiome e curata la sua dizione, l’osceno – la devastazione, lo squartamento, il crimine perpetrato con la menzogna – preme sulle suture. Il liquido fetido che ne fuoriesce è percepito, tuttavia, da chi sarà murato vivo per aver raccolto le spoglie dell’umano, per aver dato voce al lutto rimosso dalla tracotanza, faraonica o meschina, faraonica e meschina.

Eppure, avvertire anche dolorosamente il conflitto, l’agone, non sopprime il desiderio. Tutt’altro: «Un desiderio non esaudito non è una perdita, è un valore aggiunto», ha affermato in più occasioni la scrittrice Felicitas Hoppe. Di questo valore aggiunto del desiderio si nutrono i sensi desti alla parola, sguardo e ascolto attenti a cogliere tracce dell’ideale agognato nel fenomeno, assorti e tenaci nel perseguire «serena irrequietezza».

Per il nucleo iniziale di Tragedia e idillio devo un grazie a Fiammetta Bardelli, per il nostro comune progetto Mai innocua parola e per le conversazioni sul sacro e sul tragico, su hybris e rimozioni; un grazie a Fabio Michieli, per il guizzo della poesia e il dono dello studio, nel lavoro comune, ogni giorno; un grazie a Viviana Scarinci per la sua scrittura (il mio pensiero va immediatamente alla sua Annina tragicomica) e il suo lavoro instancabile su dinamiche e rappresentazioni, su stereotipi e svelamenti.

Anna Maria Curci, 15 luglio 2020



Psyche, 10 luglio 2020

Sussurra la sua voce tra i nastri

– scampati nudi alle quinte di bufera  –

folle d’Amore per un’eco celata

nel sogno di fondali inesistenti.

S’immerge per lei ch’è inabissata

chi esplora le anse e i fondi del volere

– brama coatta deriva di corrente  –

e recupera il filo e la parola.


Creonte, 11 luglio 2020

trapela il ghigno sotto l’arco del ciglio

massaggiato dal belletto di scena

gonfia di cifre nascoste la dizione

tira sui fianchi preme sotto i punti

è livida la piena di potere

mentre s’azzuffa la ciancia della brama

con altra ciancia

stridulo lo squittio dell’ombelico

diventa diceria addomesticata

sotto la calce viva

voce smorzata

di chi raccolse spoglie


Elce, 12  luglio 2020

Hanno attaccato al tronco una striscia

con l’altro nome tuo, quello maschile,

e “quercus ilex”, la doppia firma:

rifugio saldo, ramo sporgente,

appiglio a chi accede in altre stanze.

“Quercia di pietra”  ti chiama un’altra lingua.

Una pena? Un passaggio? Un cambiamento?

Su squarcio di domande e all’erba secca

in silenzio offri ombra e riparo.


Sette ghiande

SECONDA PARTE. La prima parte qui

“La caparbia, inesausta lezione delle fiabe” scriveva Cristina Campo ne Il flauto e il tappeto pubblicato nel 1971 “è dunque la vittoria sulla legge di necessità, il passaggio costante a un nuovo ordine di rapporti e assolutamente niente altro, perché assolutamente niente altro c’è da imparare su questa terra”. E sempre nello stesso contesto Campo si rivolgeva al poeta “È certo una parabola del poeta, questo nemico involontario della legge di necessità. Che può fare il poeta ingiustamente punito se non mutare le notti in giorni, le tenebre in luce?”

Se a questi giorni si potesse dare un piccolo merito o demerito, a seconda dei punti di vista, sarebbe nell’avere evidenziato quello che è necessario e quello che non lo è.  Il necessario Campo lo individua in un punto ridottissimo, direi uno snodo, non tra il prima e il dopo, piuttosto entro un passaggio da un ordine di cose all’altro, noi volenti o nolenti. Questo passaggio riguarda tutto, anche il/la poeta che sebbene, secondo Campo, siano entrambi svantaggiati nel maneggiare il servibile, proprio in virtù della loro inimicizia con il principio ineludibile di necessità, nel cambiamento vedono meglio l’avvisaglia, la definizione, e una possibilità raminga, da provare a accordare a quanto sta mutando.

Viviamo la primavera più secca degli ultimi settant’anni e se ne parla poco.  A di là di qualche giorno di pioggia blanda, il suolo è già arido come in luglio. Proprio per via di questa aridità che in alcuni punti non fa crescere l’erba, qualche giorno fa, sotto la quercia del mio giardino ho trovato sette piccole piante spuntate da altrettante ghiande neanche del tutto interrate. Mi è tornato alla mente che l’albero da cui venivano quelle ghiande così coriacee e pronte a essere qualcosa altrimenti dal loro essere ghianda, lo aveva piantato mio nonno. Mio nonno è sempre stato un originale. Un giorno è partito da casa a piedi con un badile, convinto che avrebbe trovato in qualche terreno incolto della campagna intorno, una ghianda germinata che avrebbe potuto diventare un albero. Ma se vuoi un albero vai al vivaio e te lo compri, mi ricordo di avergli detto con il cinismo dell’adolescente consumista dei tardi anni Ottanta. Mio Nonno tornò dalla spedizione con una piantina esile infilata nel taschino della camicia e la piantò, recintandola alla meglio, per difenderla dall’essere calpestata o falciata quando si rasava il prato.

Sette ghiande pronte a diventare altrettanti alberi non sono poca cosa di questi tempi, specie se l’albero da cui vengono non l’hai comprato al vivaio. Perciò ho preso una paletta da spiaggia dei miei figli di quando erano piccoli e carpendo la poca terra intorno alle ghiande, le ho piantate in sette vasetti di plastica. Perché, mi sbaglierò, ma se la legge di necessità si impone, Cristina Campo e mio nonno mi hanno insegnato a credere che comunque possiamo stringere accordi tutti nostri con il mutamento.

Il lockdown dovrebbe ancora durare dei giorni, stando alle notizie che vengono diffuse dai principali media. Avevo iniziato nell’articolo precedente a fare un po’ il punto, senza pretese di esaustività, su l’aria che tira riguardo alla poesia in questo momento, nella parzialità in cui l’ho seguita finora e cerco, in questi giorni di continuare a seguirla. Osservo che da questa maggiore attenzione prodotta soprattutto dall’accresciuto aumentare del tempo da dedicare alla cosa, ne risulta una strana effervescenza nel parlare di poesia attraverso canali mediatici alternativi che si pongono al lato di realtà solide e di lungo corso.

UNO, WEB TV. Nasce ad esempio KatÀstrofi Stati di eccezione televisibili che è una trasmissione di WebTV dedicata alla poesia, alla letteratura e alle arti in genere presentata dal progetto Argo TV e da Autoanalfabeta University of Utopia e ideata da Lello Voce e Valerio Cuccaroni. Ho avuto modo di seguire la prima puntata il 15 aprile che può essere vista qui.  Il motivo per cui l’ho seguita è stata l’annunciata presenza tra gli altri di Gabriele Frasca ma al termine della lunghissima trasmissione ho trovato più convincente l’intervento di Franca Mancinelli, la quale ha inteso più degli altri  la necessità di non essere  riepilogativa di uno stato di cose evidenti, optando per lo svantaggio  di restituire dal proprio punto di vista, lo stato di sospensione che stiamo condividendo poeti e no, il quale non è ancora affrontabile con gli strumenti della poesia.

Ecco mi ha colto di sorpresa, e mi è piaciuto dato il contesto, e mi ha detto molto, questa bella laconicità dell’intervento di Mancinelli arricchito da immagini semplici, piuttosto che visioni e ricette politiche, che mi interessano ma che forse ora come ora alla poesia servono ancora meno di quanto anche prima, tutto ciò servisse poco e niente. Ieri mercoledì 22 è andata in onda la puntata intitolata ‘Il virus è un linguaggio‘, a dialogare nell’agorà multimediale di KatÀstrofi sei poeti (alcuni dei quali anche traduttori) che fanno ben sperare: Maria Grazia Calandrone, Marco Giovenale, Rosaria Rosi Lo Russo, Adriano Padua e Fabrizio Venerandi. Appena potrò, questa puntata la guarderò con piacere.

DUE, WEB RADIO. FangoRadio trasmette dal lunedì al venerdì, qualche volta anche il sabato o la domenica. Per ascoltarla ci si può direttamente collegare a questo link. Nell’ambito del palinsesto di Fango la scrittrice e poeta Francesca Matteoni ogni martedì alle 21,30 conduce Sàivu – Survival Kit una trasmissione in cui a parlare è la poesia.  Il programma si basa su una breve e puntuale introduzione della conduttrice e una lettura dei propri versi eseguita dall’autore ospitato, intercalata da una playlist proposta dallo stesso. Grazie alla sensibilità della conduttrice, poesia e radio qui vengono proposti come un connubio che si rivela ancora molto interessante. 

TRE, UNIVERSITA’. In questi giorni si sarebbe dovuto tenere il convegno internazionale VentiVenti organizzato dalla rivista Polisemie che nasce dall’iniziativa   di   giovani   ricercatori   e   studenti dell’Università di Roma Sapienza, dell’Università degli  Studi di  Siena,  dell’Alma Mater  Studiorum  di Bologna  e dell’Università  di  Warwick,  per  approfondire  lo studio della poesia contemporanea in Italia e fuori. Il convegno nello specifico si proponeva di favorire un’interpretazione della poesia d’inizio secolo. Qui avrei dovuto partecipare intendendolo come un momento riepilogativo collaterale alla mia scrittura, in relazione alle attività di Contemporanea Fondo Librario. Inoltre la mia presenza in quel contesto ho reputato che avrebbe costituito una buona possibilità di illustrazione dei laboratori scolastici di poesia che quest’anno hanno fatto giusto in tempo ad avere luogo prima del lockdown.

Il Convegno avrebbe accolto alla Sapienza per tre giornate intere studiosi provenienti da tutto il mondo. Il primo numero di Polisemie sarebbe uscito in seguito invece che ora, come in effetti è uscito e disponibile online qui. Questo fascicolo propone approfondimenti su Robert Viscusi, Valerio Magrelli, Franca Mancinelli, Luigi Di Ruscio, Domenico Brancale, Maxime Cella e Giulia Martini, insieme ad un’intervista ad Antonella Anedda. Tutti gli articoli sono consultabili sul sito della University of Warwick Press.

QUATTRO, DIGITALE.  Anche l’editoriale di Polisemie promette bene: si vorrebbe  capire  “il  presente,  nelle  sue  forme  che a priori non possono che apparire irriducibilmente caotiche” si punta all’obiettivo “di tracciare i contorni del fenomeno della scrittura poetica in un sistema ordinato –anche se provvisorio e parziale” si vuole “leggere con la stessa attenzione gli autori di quello che  si  delinea  come  un  canone  degli  anni Duemila  e  quelli  il  cui  nome  è  ancora sconosciuto, allo scopo di farne materia di studio accademico”. Si parla della riaffermazione della dignità letteraria della scrittura in versi e si profila per la ricerca letteraria la capacità “di avere un contatto e un impatto sulla società e sulla realtà attuale”. Quest’ultima cosa mi pare grandemente auspicabile, per come la vedo io, ammesso che si riesca a non far passare la ricerca letteraria in ambito poetico come socialmente efficace quando utilizza lo stesso linguaggio di narrazioni politiche e intelletualistiche che imitano quei linguaggi senza dire granché.

CINQUE, CARTA. Il Segnale è una rivista di ricerca letteraria che amo particolarmente. Nasce nel 1981 a Milano con la fondazione di una cooperativa di poeti, I Dispari. A conclusione di un lungo lavoro teorico (nella rubrica Poesia & Scuola) e sul campo, nel 1983 la rivista promuove, in collaborazione con il Comune di Milano, l’importante Convegno Scuola e Poesia, introdotto da una relazione di Mario Spinella. Qui tutte le tappe compiute dalla rivista fino ad oggi.

L’ultimo numero in ordine di tempo il 115 viene pubblicato prima dell’irruzione del covid-19 e ospita un mio intervento L’equivoco che diventa linguaggio, nella sezione Soggettività e scrittura che viene descritta in questo modo dalla redazione: “questa rubrica può essere equiparata ad una vera e propria dichiarazione di intenti programmatici della rivista. Una procedura sistematica per proporre l’accostamento di pensieri che, nell’atto stesso dello scrivere, ricercano il piacere dello scandaglio in territori di riflessione inesplorati, singolari e comparabili a generi letterari diversi.”

Di particolare interesse in questo numero i due articoli dell’attuale direttore, Gianluca Bocchinfuso Se il futuro ha radici negli alberi” la lettura del quale mi ha aiutato nell’immaginare una formulazione iniziale per questa seconda parte del mio excursus. E un altro articolo a mio avviso molto importante “Dalla letteratura che resiste alla letteratura che si rinnova” che informa relativamente alla letteratura contemporanea scritta da autori translingue sottolineando tra l’altro la scarsa conoscenza del fenomeno da parte dei lettori italiani. Come fondo librario su l’argomenti bilinguismo, dialetti e lingua madre ho avuto il piacere di ospitare e di interloquire fattivamente nell’ambito dei laboratori scolastici degli anni scorsi, con gli interventi che Paola Del Zoppo ( 1 e 2) e Anna Maria Curci (qui e qui) hanno pensato di condividere entro la nostra progettazione.

SEI, CARTA E/O DIGITALE. Quando si parla di poesia è importante ricordare la voce di Maria Clelia Cardona che nelle pagine di Leggendaria (il cui abbonamento è disponibile sia in formato cartaceo che in formato digitale) attraverso la sua rubrica dedicata alla poesia, si è occupata diffusamente e con acume, negli ultimi due numeri pubblicati, il 139 e il 140, rispettivamente della poesia di Mariangela Gualtieri e di Annelisa Alleva.

L’ultima ghianda, la SETTIMA, riguarda l’EDITORIA di POESIA nella veste dell’editore Arcipelago Itaca che nell’ultimo periodo ha pubblicato tre libri a mio avviso tra i più importanti di quelli arrivati al fondo librario: Anna Maria Curci, Nei giorni per versi, Andrea Raos Le avventure dell’Allegro Leprotto e altre storie inospitali, Patrizia Sardisco, Autism Spectrum.

Mi fermo qui con le segnalazioni perché la poesia non è un excursus anche se a volte le liste servono a cercare di non dimenticare. Questo articolo come il precedente nasce dal desiderio di dare a Contemporanea Fondo Librario uno spunto iniziale volto a una visione quanto più aperta possibile entro un discorso sull’attualità della poesia che accomuna un discreto numero di persone. Spero che i link riportati nonostante la soggettività dei miei gusti e l’inevitabile parzialità della mia visione, possano essere di una qualche utilità a chi desideri soprattutto farsi un’idea propria ma informata, sul lavoro approfondito e stratificato di molte e molti quando si scrive e si parla di poesia italiana contemporanea.