SECONDA PARTE. La prima parte qui
“La caparbia, inesausta lezione delle fiabe” scriveva Cristina Campo ne Il flauto e il tappeto pubblicato nel 1971 “è dunque la vittoria sulla legge di necessità, il passaggio costante a un nuovo ordine di rapporti e assolutamente niente altro, perché assolutamente niente altro c’è da imparare su questa terra”. E sempre nello stesso contesto Campo si rivolgeva al poeta “È certo una parabola del poeta, questo nemico involontario della legge di necessità. Che può fare il poeta ingiustamente punito se non mutare le notti in giorni, le tenebre in luce?”
Se a questi giorni si potesse dare un piccolo merito o demerito, a seconda dei punti di vista, sarebbe nell’avere evidenziato quello che è necessario e quello che non lo è. Il necessario Campo lo individua in un punto ridottissimo, direi uno snodo, non tra il prima e il dopo, piuttosto entro un passaggio da un ordine di cose all’altro, noi volenti o nolenti. Questo passaggio riguarda tutto, anche il/la poeta che sebbene, secondo Campo, siano entrambi svantaggiati nel maneggiare il servibile, proprio in virtù della loro inimicizia con il principio ineludibile di necessità, nel cambiamento vedono meglio l’avvisaglia, la definizione, e una possibilità raminga, da provare a accordare a quanto sta mutando.
Viviamo la primavera più secca degli ultimi settant’anni e se ne parla poco. A di là di qualche giorno di pioggia blanda, il suolo è già arido come in luglio. Proprio per via di questa aridità che in alcuni punti non fa crescere l’erba, qualche giorno fa, sotto la quercia del mio giardino ho trovato sette piccole piante spuntate da altrettante ghiande neanche del tutto interrate. Mi è tornato alla mente che l’albero da cui venivano quelle ghiande così coriacee e pronte a essere qualcosa altrimenti dal loro essere ghianda, lo aveva piantato mio nonno. Mio nonno è sempre stato un originale. Un giorno è partito da casa a piedi con un badile, convinto che avrebbe trovato in qualche terreno incolto della campagna intorno, una ghianda germinata che avrebbe potuto diventare un albero. Ma se vuoi un albero vai al vivaio e te lo compri, mi ricordo di avergli detto con il cinismo dell’adolescente consumista dei tardi anni Ottanta. Mio Nonno tornò dalla spedizione con una piantina esile infilata nel taschino della camicia e la piantò, recintandola alla meglio, per difenderla dall’essere calpestata o falciata quando si rasava il prato.
Sette ghiande pronte a diventare altrettanti alberi non sono poca cosa di questi tempi, specie se l’albero da cui vengono non l’hai comprato al vivaio. Perciò ho preso una paletta da spiaggia dei miei figli di quando erano piccoli e carpendo la poca terra intorno alle ghiande, le ho piantate in sette vasetti di plastica. Perché, mi sbaglierò, ma se la legge di necessità si impone, Cristina Campo e mio nonno mi hanno insegnato a credere che comunque possiamo stringere accordi tutti nostri con il mutamento.
Il lockdown dovrebbe ancora durare dei giorni, stando alle notizie che vengono diffuse dai principali media. Avevo iniziato nell’articolo precedente a fare un po’ il punto, senza pretese di esaustività, su l’aria che tira riguardo alla poesia in questo momento, nella parzialità in cui l’ho seguita finora e cerco, in questi giorni di continuare a seguirla. Osservo che da questa maggiore attenzione prodotta soprattutto dall’accresciuto aumentare del tempo da dedicare alla cosa, ne risulta una strana effervescenza nel parlare di poesia attraverso canali mediatici alternativi che si pongono al lato di realtà solide e di lungo corso.
UNO, WEB TV. Nasce ad esempio KatÀstrofi – Stati di eccezione televisibili che è una trasmissione di WebTV dedicata alla poesia, alla letteratura e alle arti in genere presentata dal progetto Argo TV e da Autoanalfabeta University of Utopia e ideata da Lello Voce e Valerio Cuccaroni. Ho avuto modo di seguire la prima puntata il 15 aprile che può essere vista qui. Il motivo per cui l’ho seguita è stata l’annunciata presenza tra gli altri di Gabriele Frasca ma al termine della lunghissima trasmissione ho trovato più convincente l’intervento di Franca Mancinelli, la quale ha inteso più degli altri la necessità di non essere riepilogativa di uno stato di cose evidenti, optando per lo svantaggio di restituire dal proprio punto di vista, lo stato di sospensione che stiamo condividendo poeti e no, il quale non è ancora affrontabile con gli strumenti della poesia.
Ecco mi ha colto di sorpresa, e mi è piaciuto dato il contesto, e mi ha detto molto, questa bella laconicità dell’intervento di Mancinelli arricchito da immagini semplici, piuttosto che visioni e ricette politiche, che mi interessano ma che forse ora come ora alla poesia servono ancora meno di quanto anche prima, tutto ciò servisse poco e niente. Ieri mercoledì 22 è andata in onda la puntata intitolata ‘Il virus è un linguaggio‘, a dialogare nell’agorà multimediale di KatÀstrofi sei poeti (alcuni dei quali anche traduttori) che fanno ben sperare: Maria Grazia Calandrone, Marco Giovenale, Rosaria Rosi Lo Russo, Adriano Padua e Fabrizio Venerandi. Appena potrò, questa puntata la guarderò con piacere.
DUE, WEB RADIO. FangoRadio trasmette dal lunedì al venerdì, qualche volta anche il sabato o la domenica. Per ascoltarla ci si può direttamente collegare a questo link. Nell’ambito del palinsesto di Fango la scrittrice e poeta Francesca Matteoni ogni martedì alle 21,30 conduce Sàivu – Survival Kit una trasmissione in cui a parlare è la poesia. Il programma si basa su una breve e puntuale introduzione della conduttrice e una lettura dei propri versi eseguita dall’autore ospitato, intercalata da una playlist proposta dallo stesso. Grazie alla sensibilità della conduttrice, poesia e radio qui vengono proposti come un connubio che si rivela ancora molto interessante.
TRE, UNIVERSITA’. In questi giorni si sarebbe dovuto tenere il convegno internazionale VentiVenti organizzato dalla rivista Polisemie che nasce dall’iniziativa di giovani ricercatori e studenti dell’Università di Roma Sapienza, dell’Università degli Studi di Siena, dell’Alma Mater Studiorum di Bologna e dell’Università di Warwick, per approfondire lo studio della poesia contemporanea in Italia e fuori. Il convegno nello specifico si proponeva di favorire un’interpretazione della poesia d’inizio secolo. Qui avrei dovuto partecipare intendendolo come un momento riepilogativo collaterale alla mia scrittura, in relazione alle attività di Contemporanea Fondo Librario. Inoltre la mia presenza in quel contesto ho reputato che avrebbe costituito una buona possibilità di illustrazione dei laboratori scolastici di poesia che quest’anno hanno fatto giusto in tempo ad avere luogo prima del lockdown.
Il Convegno avrebbe accolto alla Sapienza per tre giornate intere studiosi provenienti da tutto il mondo. Il primo numero di Polisemie sarebbe uscito in seguito invece che ora, come in effetti è uscito e disponibile online qui. Questo fascicolo propone approfondimenti su Robert Viscusi, Valerio Magrelli, Franca Mancinelli, Luigi Di Ruscio, Domenico Brancale, Maxime Cella e Giulia Martini, insieme ad un’intervista ad Antonella Anedda. Tutti gli articoli sono consultabili sul sito della University of Warwick Press.
QUATTRO, DIGITALE. Anche l’editoriale di Polisemie promette bene: si vorrebbe capire “il presente, nelle sue forme che a priori non possono che apparire irriducibilmente caotiche” si punta all’obiettivo “di tracciare i contorni del fenomeno della scrittura poetica in un sistema ordinato –anche se provvisorio e parziale” si vuole “leggere con la stessa attenzione gli autori di quello che si delinea come un canone degli anni Duemila e quelli il cui nome è ancora sconosciuto, allo scopo di farne materia di studio accademico”. Si parla della riaffermazione della dignità letteraria della scrittura in versi e si profila per la ricerca letteraria la capacità “di avere un contatto e un impatto sulla società e sulla realtà attuale”. Quest’ultima cosa mi pare grandemente auspicabile, per come la vedo io, ammesso che si riesca a non far passare la ricerca letteraria in ambito poetico come socialmente efficace quando utilizza lo stesso linguaggio di narrazioni politiche e intelletualistiche che imitano quei linguaggi senza dire granché.
CINQUE, CARTA. Il Segnale è una rivista di ricerca letteraria che amo particolarmente. Nasce nel 1981 a Milano con la fondazione di una cooperativa di poeti, I Dispari. A conclusione di un lungo lavoro teorico (nella rubrica Poesia & Scuola) e sul campo, nel 1983 la rivista promuove, in collaborazione con il Comune di Milano, l’importante Convegno Scuola e Poesia, introdotto da una relazione di Mario Spinella. Qui tutte le tappe compiute dalla rivista fino ad oggi.
L’ultimo numero in ordine di tempo il 115 viene pubblicato prima dell’irruzione del covid-19 e ospita un mio intervento L’equivoco che diventa linguaggio, nella sezione Soggettività e scrittura che viene descritta in questo modo dalla redazione: “questa rubrica può essere equiparata ad una vera e propria dichiarazione di intenti programmatici della rivista. Una procedura sistematica per proporre l’accostamento di pensieri che, nell’atto stesso dello scrivere, ricercano il piacere dello scandaglio in territori di riflessione inesplorati, singolari e comparabili a generi letterari diversi.”
Di particolare interesse in questo numero i due articoli dell’attuale direttore, Gianluca Bocchinfuso “Se il futuro ha radici negli alberi” la lettura del quale mi ha aiutato nell’immaginare una formulazione iniziale per questa seconda parte del mio excursus. E un altro articolo a mio avviso molto importante “Dalla letteratura che resiste alla letteratura che si rinnova” che informa relativamente alla letteratura contemporanea scritta da autori translingue sottolineando tra l’altro la scarsa conoscenza del fenomeno da parte dei lettori italiani. Come fondo librario su l’argomenti bilinguismo, dialetti e lingua madre ho avuto il piacere di ospitare e di interloquire fattivamente nell’ambito dei laboratori scolastici degli anni scorsi, con gli interventi che Paola Del Zoppo ( 1 e 2) e Anna Maria Curci (qui e qui) hanno pensato di condividere entro la nostra progettazione.
SEI, CARTA E/O DIGITALE. Quando si parla di poesia è importante ricordare la voce di Maria Clelia Cardona che nelle pagine di Leggendaria (il cui abbonamento è disponibile sia in formato cartaceo che in formato digitale) attraverso la sua rubrica dedicata alla poesia, si è occupata diffusamente e con acume, negli ultimi due numeri pubblicati, il 139 e il 140, rispettivamente della poesia di Mariangela Gualtieri e di Annelisa Alleva.
L’ultima ghianda, la SETTIMA, riguarda l’EDITORIA di POESIA nella veste dell’editore Arcipelago Itaca che nell’ultimo periodo ha pubblicato tre libri a mio avviso tra i più importanti di quelli arrivati al fondo librario: Anna Maria Curci, Nei giorni per versi, Andrea Raos Le avventure dell’Allegro Leprotto e altre storie inospitali, Patrizia Sardisco, Autism Spectrum.
Mi fermo qui con le segnalazioni perché la poesia non è un excursus anche se a volte le liste servono a cercare di non dimenticare. Questo articolo come il precedente nasce dal desiderio di dare a Contemporanea Fondo Librario uno spunto iniziale volto a una visione quanto più aperta possibile entro un discorso sull’attualità della poesia che accomuna un discreto numero di persone. Spero che i link riportati nonostante la soggettività dei miei gusti e l’inevitabile parzialità della mia visione, possano essere di una qualche utilità a chi desideri soprattutto farsi un’idea propria ma informata, sul lavoro approfondito e stratificato di molte e molti quando si scrive e si parla di poesia italiana contemporanea.