Del giardino mi piace soprattutto quanto sia vicino all’imponderabile, a quel punto ineffabile in cui natura e cultura, fisica e metafisica, tangibile e simbolico coabitano in un tempo che è dentro e fuori le cose. Un tempo pieno di sorprese. Non ponderabile significa non misurabile ma non per questo inesistente. In passato quando il colore, la luce, il calore, l’elettricità, il magnetismo non erano misurabili venivano chiamati fluidi imponderabili perché ciò che era colorato, illuminato, riscaldato, elettrizzato cambiava stato ma non variava di peso. Imponderabili oggi sono, anche secondo il vocabolario, quegli avvenimenti la cui natura sfugge al controllo e a una definizione precisa pur producendo effetti evidenti.

Qualche giorno fa ho potuto dedicare una giornata intera alla preparazione del giardino all’autunno, la mia stagione preferita. Facendo un’ispezione un po’ più approfondita del solito ho trovato in un angolo nascosto una petunia bianca, nata spontaneamente e arrivata da chissà dove. A torto non ho mai amato le petunie, non le ho mai comprate e sono sicura che questa piantina con due enormi fiori bianchi sia arrivata con prepotenza dal cielo a fiorire dove è fiorita proprio adesso perché c’è un motivo. Un motivo imponderabile ma non per questo meno vero del fatto che qualche uccello, uno qualunque delle varietà che sono padrone del giardino, ha portato il seme della petunia in un posto in cui prima quel fiore non c’era. Se non ce lo ha portato il vento.

Petunia Addams che nella selva dei suoi capelli nasconde Mano, Petunia Evans Dursley, sorella della mamma di Harry Potter, che odia il nipote perché è gelosa fin da piccola delle capacità magiche di sua sorella Lily. Petunia è un nome da personaggia fiabesca e controversa come in effetti controverso è il significato del fiore. La petunia simboleggia un amore nascosto ma tuttavia confessato. E soprattutto simboleggia collera e risentimento, la stessa che ha ispirato la penna di J. K. Rowling a inventarsi una zia Petunia che è come un’erba cattiva ma che pure produce fiori enormi e di grande bellezza.

Nell’antichità la lettura simbolica dell’universo spettava a tutti. Era un insieme di saperi lontani dall’essere codificati, misurati, lontani anche da un unico linguaggio ammesso per descriverli o da un èlite erudita deputata a decifrarli. Le credenze e i saperi, i materiali e i simboli che questi rappresentavano si mescolavano come semi differenti alla paura e all’amore per l’ignoto che la terra rappresentava. Così poteva capitare che anche il pittore medievale più straordinario, quello le cui immagini fossero più vicine di tutte alla poesia costituita dall’esistenza del suo tempo, credesse che un colore, una volta preparato dovesse stare a riposo per tre giorni o nove mesi. Tre giorni come la resurrezione, nove mesi come una gravidanza. 

Perché una petunia bianca spunta spontaneamente proprio in questi giorni nel mio giardino che si può anche dire che è il mio habitat? Dove habitat si intende come posto le cui caratteristiche consentono una qualità della vita che diminuisce o aumenta in base ai cambiamenti climatici e agli agenti economici, sociali e demografici  che rendono i luoghi  vivibili o invivibili. 

Ho sempre creduto più nell’imponderabile che negli stereotipi anche se pure questi hanno molto da raccontare su cose e persone. Ci ho creduto attraverso scelte di vita anche radicali, come quella che oggi si definisce ecofemminista. Gli ecofemminismi (su Il lavoro culturale ne ho scritto qui  su Diaria qui e qui) sono movimenti che vivono di un nesso imponderabile ma tremendamente reale tra principio femminile, principio animale e ambiente. La criticità che mette a rischio questi principi così delicati è la loro subordinazione. Il power-over power come sistema che si dà nella quotidianità di ciascuno ossia ciò che viene perpetrato da soggetti classificati in categorie di rango superiore, sui soggetti classificati in categorie di rango inferiore. 

Mi metto a raccogliere informazioni sulla petunia perché senz’altro il suo arrivo inatteso che in questi giorni mia ha già detto molto, potrebbe ancora volermi dire qualcosa. Anche perché credo che per provare a saperne di più servano a volte formule magiche che nascono a metà strada tra superstizione e sincronicità, come del resto ci credeva Jung, senza essere uno stregone, già dal 1950 a quello che definì come principio dei nessi acausali. Cioè al legame di eventi lontani geograficamente e anche storicamente che avvengono in una qualche contemporaneità esprimendo così una connessione tra loro che non è casuale. Eventi che influiscono tra loro solo perché appartengono allo stesso contesto di significato, un significato che può essere tanto simbolico quanto materiale. Così trovo una storia bellissima e meravigliosamente vera di cui la protagonista assoluta è proprio la petunia bianca. 

La petunia negli anni Novanta è diventata l’organismo di elezione per studiare le interazioni e regolazione dei geni umani con i suoi almeno 35 geni che sono noti influenzarne il colore. Ma c’è di più. Da una petunia bianca nacque l’RNA interference ossia la scoperta che promette di battere tumori, virus come quelli dell’HIV e Alzheimer. Nel 2006 Andrew Z. Fire e Craig C. Mello due ricercatori americani furono insigniti del Premio Nobel per il loro studi sul meccanismo mediante il quale alcuni frammenti di RNA a doppio filamento sono in grado di interferire e spegnere l’espressione di alcuni geni. Nella motivazione per l’assegnazione del premio fu sottolineato che i due ricercatori avevano scoperto un processo fondamentale per il controllo della trasmissione delle informazioni genetiche. L’effetto RNA interference era stato osservato per la prima volta in alcune piante di petunia nelle quali era stato inserito un transgene responsabile della pigmentazione dei fiori per ottenere petunie più scure. Pensate che c’è chi dice che per far cambiare il colore alle petunie è sufficiente innaffiarle con la birra. Ma il risultato davvero sorprendente in laboratorio fu però che le petunie non presentavano un colore più scuro ma risultavano screziate e qualcuna di queste era completamente bianca. Durante gli esperimenti si era ottenuto quindi una ridotta espressione sia del gene endogeno che del transgene introdotto nella pianta per cui si ipotizzò che c’era stato qualcosa che avesse spento o reso inattivo il gene responsabile del colore della petunia. Questo fenomeno va sotto il nome di silenziamento genetico post trascrizionale che però probabilmente richiama un meccanismo molto antico di difesa contro le infezioni da virus a RNA di cui a quanto pare la petunia è una veterana. 

Nomen omen dicevano gli antichi romani intendendo che i nomi fossero un presagio o un destino. Se Rowling non avesse creduto al significato negativo della petunia, un monumento del fantasy come Harry Potter avrebbe perso un pezzo fondamentale della sua trama come quello della collera di zia Petunia per sempre gelosa di sua sorella. Per me voglio credere che la petunia bianca invece che collera sia piovuta dal cielo per significare una storia il cui candore del fiore sia il monumento minuscolo a una meccanica antica e silenziosa che la natura, nonostante l’essere umano, non smette di inventarsi per preservare l’equilibrio di un habitat.