Il 23 dicembre del 2021 moriva #JoanDidion. Ma oggi non vi voglio parlare della sua vita o della sua morte. Vi voglio parlare di un discorso che Didion tenne nel 1975 per l’apertura di un anno accademico come tanti, a un gruppo di studenti come tanti. Un discorso molto citato negli anni ma smarrito nella sua interezza per poi essere ritrovato e giudicato uno dei migliori discorsi di sempre. A leggerlo oggi dopo aver letto Da dove vengo. Un’autobiografia si capisce come già allora Didion fosse conscia della necessità di avere uno sguardo critico sull’eredità sociale che pesava su di lei e che inevitabilmente sarebbe pesata sulle scelte di quelle ragazze e di quei ragazzi che iniziavano il loro anno di studi. Tutte persone che sarebbero state definite dalle scelte culturali della propria epoca così come Didion si sentiva tenuta in quel momento a smascherare, a partire dalle proprie illusioni, tutte quelle dinamiche che si sostituiscono a uno sguardo perennemente e faticosamente indagatore sulle cose. In quel discorso memorabile Didion disse più o meno che come scrittrice aveva dovuto lottare per tutta la vita contro le sue proprie incomprensioni, le false idee, le percezioni distorte della realtà, consapevole che lo sguardo di ciascuno vive di questo tipo di distorsioni sempre. Distorsioni su cui bisogna lavorare duramente, rendersi infelici, rinunciare alle idee che ci mettono a nostro agio. Per capirci: le idee che ci fanno sentire al sicuro perché largamente condivise da fazioni riconoscibili. Per Didion la realtà sociale non ha in sé niente di relativo, di simbolico, di ideale. È proprio questo assunto che fa capire quanto siano guai quando ci si affida alle suggestioni della comunicazione che finge interpretazioni funzionali ai vari contesti, sviando dalla brutalità vera che è quella delle cose che staranno pure in basso ma comunque stanno alla base di tutto. Ho trascorso tutta la mia vita adulta, scrive Didion, in uno stato di profondo shock culturale. Tutti noi distorciamo ciò che vediamo per mille motivi che stanno nell’umano. A quegli studenti Didion disse proprio così: non avviene a tutti, non avviene subito di iniziare a vivere davvero nel mondo. Le idee paralizzano la possibilità di vivere davvero, i linguaggi esclusivamente ripiegati sulle idee, annichiliscono. A questo che è uno shock culturale, Didion attribuisce la mancata responsabilità di saper guardare alla propria provenienza sociale inquadrandola nella storia del proprio Paese. Nella sua autobiografia riprende esattamente questo tema, Da dove vengo racconta questa fatica bifronte: da una parte il disincanto rispetto alla favola della propria venuta al mondo e dall’altra l’assenso a riformulare la storia di quella venuta mettendola a contatto con il mondo reale dal momento in cui si aprono gli occhi e si guarda quello che c’è, senza farsi vincere dalla tentazione di distogliere lo sguardo. C’è una realtà oggettiva, diceva Didion, c’è una realtà sociale oggettiva, è di quella che ti devi fidare. Concludo con una citazione lontanissima da Didion ma che traduce all’oggi il senso di quel famoso discorso: le classi sociali esistono oggi più che mai, ma sono state tolte dalla lingua e di conseguenza anche dall’immaginario (da qui ). Ancora #VitalianoTrevisan che si incrocia con Didion, due che si sono sicuramente resi infelici inventando storie in copia carbone di quella realtà sociale che già in America nel settantacinque, sembrava non avesse più un linguaggio che inventando la realtà, potesse davvero renderla. Ammesso che la resa della realtà sociale una volta espulsa dall’immaginario sia ancora di un qualche interesse per chi scrive e per chi legge.