Io volevo che l’ossimoro “carezza-orrore” fosse strutturale, fosse scritto nel DNA del pezzo. Francesco Bellomi da Carte nel vento n.34

Francesco Bellomi sulla composizione per Amanda fiore o tartaruga di Viviana Scarinci


 

Nelle 24 righe del testo Amanda fiore o tartaruga  che ho avuto a disposizione ho sottolineato subito la frase finale: «quella carezza che ti fa orrore». Questo ossimoro è stata per me la chiave di tutti gli ossimori e le contrapposizioni precedenti. Quello che ha innescato il mio procedimento di invenzione.

Ora, in questo testo come in tutti gli altri, c’è ben di più di un ossimoro o simili, ma io avevo bisogno di una chiave di lettura abbastanza astratta da poter essere trasposta in musica e abbastanza semplice da essere comprensibile a chi ascolta la musica. In pratica ho immaginato che questa contrapposizione potesse essere il filo rosso che tiene insieme le centinaia di altre cose che l’analisi di questo testo può rivelare e ho provato a scrivere una musica infarcita di “carezze” e di “orrore”. A cominciare dai materiali di base. Si può mimare musicalmente una carezza in molti modi (e ho provato a usarne qualcuno di quelli usabili sulla tastiera di un pianoforte) ma io non volevo fare il Pierino e il lupo del premio Montano (con i suoi temini-personaggi da asilo infantile: “senti? il tema cullante della carezza? adesso arriva il cluster dell’orrore…”). Io volevo che l’ossimoro “carezza-orrore” fosse strutturale, fosse scritto nel DNA del pezzo.

Così sono partito da un materiale, una scelta di altezze, che potesse già di per se suggerire l’ambiguità di questa orrenda carezza. Il materiale migliore che ho trovato è un accordo ben conosciuto dai musicisti: la triade aumentata o eccedente. Un accordo accuratamente classificato ed etichettato in tutti i manuali di armonia, ma che musicisti come Debussy, Berg (Sonata op.1) e Scriabine hanno usato in modo intensivo e magistrale.

1

Questo accordo si porta dentro tutta una serie di ambiguità:

– è dissonate (poco) ma è costruito con due intervalli consonanti (due terze maggiori);

– può appartenere a varie tonalità e quindi risolvere in molto modi, basta cambiare il modo con cui si scrivono i suoi suoni (enarmonia);

– mettendo in fila almeno tre triadi aumentate si ottiene una scala “esatonale” o “di Debussy” che ha la singolare caratteristica, essendo composta solo di intervalli di tono, di non avere delle tensioni orientate verso qualche nota di risoluzione della tensione; come succede in tutte le scale tonali che si adoperano nel 97% della musica che ascoltiamo. Nelle scale esatonale la tensione è bassa e diffusa, come una nebbia impalpabile e priva di punti di appoggio; non a caso Debussy adorava questa scala.

2

La triae aumentata è un accordo dolce e morbido come una carezza ma appena lo adoperi per più di due secondi diventa (se non sei un genio come Debussy) veramente nauseante e insopportabile.

Così ho messo sulla mia tavolozza un insieme di altezze (un “impasto”, una scala, un arpeggio, insomma chiamatelo come che vi pare) che contiene questo accordo. Per gli amici possiamo chiamarlo insieme x:

3

L’insieme y è dato invece da tutte le altre altezze (fra le 12 che usiamo in occidente) che non appartengono all’insieme x.

3a

La somma; x + y = z

4

dove z è l’insieme di tutte le altezze possibili nel nostro sistema musicale e sulla tastiera di un pianoforte (se è accordato correttamente, cosa che non succede quasi mai, ma questo è un’altra storia).

Il brano oscilla continuamente fra questi due insiemi che costituiscono i due poli di attrazione di tutto il materiale melodico e armonico. In pratica: dopo un po’ di tempo che si lavora con l’insieme x l’ascoltatore comincia a sentire il bisogno di qualcosa, non sa bene cosa, una specie di cambiamento, ma non sa bene quale cambiamento. Cambiamenti di ritmo, di intensità, di testura sono solo palliativi, e servono solo a tirarla in lunga ancora un po’ (prolungamento nell’analisi Schenkeriana) ma alla fine, il desiderio di un cambiamento di “tavolozza armonica” è così forte che non c’è acrobazia che tenga: bisogna cambiare le altezze adoperate altrimenti l’ascoltatore “esplode” o, meno clamorosamente, distoglie l’attenzione.

Nel mondo modale e tonale questa tecnica era chiamata modulazione ed è basata su uno dei meccanismi percettivi più forti (e forse innati) del nostro efficientissimo orecchio tonale.

Nel brano ho poi utilizzato gesti strumentali tipici della morbidezza: sonorità tenui, una certa lentezza, indugio su formule ritmico melodiche ripetitive, arpeggi, pedali, ecc.

Il pezzo finisce con tre accordi: l’insieme x, l’insieme y, e l’insieme z. Una sorta di cadenza riepilogativa di tutta la storia e, casualmente, l’ultimo accordo, l’insieme z, composto di tutte e 12 le altezze di un’ottava del pianoforte può essere suonato solo come un doppio cluster (tasti bianchi + tasti neri) mettendo le mani distese trasversalmente come per accarezzare la tastiera: è l’ultima orribile carezza del pezzo.

Il video dell’esecuzione


Si, effettivamente, spiegare la musica usando le parole è piuttosto complicato e spesso totalmente inutile e fuorviante, specie quando a farlo sono proprio i musicisti.

I critici se la cavano molto meglio, anche se barano tutti alla grande fingendo di capirci qualcosa.

Gli scienziati sono quelli che si avvicinano di più alla sostanza dei fatti musicali, forse perché il lavoro scientifico utilizza alla fin fine gli stessi identici mezzi e procedimenti del lavoro artistico: è un lavoro creativo esattamente come l’arte, la danza, la musica, la poesia, ecc.

Detto questo ci sono validi ripieghi: parlare del contesto storico, delle strutture musicali, delle forme, dei trucchi del mestiere, e così via. Ma alla fin fine, in qualunque modo la si metta, si finisce per raccontare una storia. In fondo anche le leggi fisiche o i teoremi matematici raccontano delle storie: le raccontano con formule numeri ed equazioni, ma sono storie.  Francesco Bellomi 

Febbraio 2017, anno XIV, numero 34 Carte nel vento

Il bando della trentunesima edizione del Premio Lorenzo Montano  

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