Ogni volta che devo riorientarmi faccio due cose: compro alberi e torno alla poesia, qualora fossi stata così scellerata da abbandonarla per un po’. Ora si dà il caso che è autunno, giusto la stagione di piantare alberi e che l’intendimento fusionale del mio approccio alla lettura, vada un minimo riorganizzato se non altro per evitare di girare a vuoto tra un libro e l’altro.
La poesia romantica è universale e progressiva. Il suo fine non è soltanto quello di riunire nuovamente tutti i separati generi poetici, e di porre in contatto la poesia con la filosofia e la retorica (…) Essa vuole, e deve anche, ora mescolare e ora separare poesia e prosa, genialità e critica, poesia d’arte e poesia ingenua, render viva e sociale la poesia, poetica la vita e la società, poetizzare lo spirito. Tutta la storia della poesia moderna è un continuo commento al breve testo della filosofia. Ogni arte deve diventare scienza e ogni scienza arte. Poesia e filosofia devono essere unite.
— Fredrich Schlegel
Come a volte mi accade quando mi perdo in queste fasi un po’ caotiche dei miei procedimenti, anche stavolta mi sono arrivate in soccorso due cose ragguardevoli anche se agli antipodi: l’incontro con il concetto di poesia trascendentale elaborato da Karl Wilhelm Friedrich von Schlegel (1772 -1829) e l’incontro autunnale con il mio vivaista che ha pensato bene di rendere disponibili all’acquisto quest’anno un folto numero di alberi di specie diverse ma tutti molto giovani, perciò non costosissimi, trasportabili e piantabili non troppo disagevolmente.
Confidavo in realtà che l’accrescimento delle querce, provenienti dalle ghiande piantate in vaso durante il lockdown tra aprile marzo di quest’anno (ne parlo qui) fosse sufficiente per interrare le piantine, ma mi è stato fortemente sconsigliato, e stavolta mi tocca obbedire, se non voglio rischiare di farle fuori. Così ho desistito e mi sono messa a leggere un libriccino molto interessante che non c’entra nulla con quello che devo studiare ora, Dialogo sulla poesia di Fredrich Schlegel, ho chiuso per un po’ e per quanto possibile tutti i file aperti, e ho iniziato a fare avanti e indietro dal vivaio indecisa su quale fosse l’albero giusto da comprare questo autunno.
Così leggendo di questa poesia trascendentale e della genealogia duplice dell’albero del gelso mi vedo comparire sotto gli occhi proprio quelle dubbie analogie che dalla tensione tra frammentazione e ricomposizione, portano verso un’apertura che proprio perché di tipo paradossale, alla fine si dimostra imprevedibilmente saggia. Karl Wilhelm Friedrich von Schlegel è stato un filosofo, critico e storico della letteratura, ma più di tutto aveva il pallino della poesia. Avversario letterario di Goethe e Schiller sodale di Novalis e Tieck, fu promotore con il fratello Wilhelm August, che era “solo” un filosofo, di Athenäum (1798-1800) rivista-manifesto del romanticismo di Jena, che si presentò come teoria e prassi letteraria d’avanguardia, opera collettiva di una ristretta cerchia di letterati che avevano posto le basi di una nuova poetica figlia di un’arte incorruttibile ma sempre in grado di adeguarsi ai tempi. Questo dice il risvolto di copertina di Dialogo sulla poesia edito proprio quest’anno da Cicorivolta Edizioni. (E di questo singolare editore bisognerebbe parlare a parte).
Al vivaio frattanto il primo albero che compro è un gelso rosso. Non quello dei bachi, cioè il bianco, che non resistendo tornerò comunque a comprare due giorni dopo, apprendendo così che le due varietà di gelso vivono di scopi e significati totalmente diversi. Diversità che però è definita solo dal colore dei loro frutti, in quanto per il resto sono piante identiche. I due gelsi, il bianco e il rosso, come i fratelli Schlegel, l’uno appassionato di poesia, l’altro più orientato verso la filosofia, vivono nella loro essenza il senso duplice, e soltanto apparentemente contraddittorio, espresso dalla poesia e dalla filosofia trascendentale: cioè quello di una poesia che porta con sé la consapevolezza del proprio intrinseco significato (e questo è sufficiente a se stesso) allo stesso modo in cui la filosofia trascendentale si occupa e illustra le modalità secondo le quali gli oggetti sono conosciuti.

Se non fosse esistito il gelso bianco, non avremmo mai potuto conoscere la seta, e vestircene, tessuto che a voler guardare il suo intrinseco significato è quello di rivestire di vita arborea e animale, più di tutte le altre stoffe, i corpi umani. Cosa bellissima almeno fin quando l’allevamento dei bachi si svolgeva nel rispetto della vita e dei cicli produttivi di quegli animali. Se non fosse esistito il gelso rosso, la mitologia greca sarebbe orfana di uno dei suoi miti più belli e sanguinosi quello di Piramo e Tisbe. Per non dire della storia di Giulietta e Romeo che Shakespeare copiò proprio da quel mito il quale fu raccontato in modo tanto trascendentale da Ovidio da diventare il paradigma dell’amore estremo che si getta nella morte pur di rimanere eterno.
Sara Cardone a conclusione della sua bellissima prefazione a Dialoghi sulla poesia scrive: “Il genio poetico romantico è ancora in fieri: questa è la sua essenza, che può solo eternamente divenire, mai essere compiuto. Esso non può essere esaurito da nessuna teoria e solo una critica divinatoria potrebbe osare caratterizzarne l’ideale. Il genere poetico romantico è infinito, come è anche il solo a essere libero, riconoscendo che l’arbitrio del poeta non ha al di sopra alcuna legge che lo sovrasti”.
I due gelsi li faccio piantare domani, uno di fronte alla finestra del salone, quello rosso, e l’altro di fronte alla finestra della camera da letto, quello bianco. Dimenticavo l’ultima cosa che mi ha convinto in un lampo a comprarli entrambi: il gelso è considerato da Plinio “albero sapientissimo” perché è l’ultimo a sbocciare ed il primo a maturare il frutto, in questo modo evita i dannosi effetti del freddo intempestivo e i frutti restano poi a lungo sui rami. Se non è saggezza trascendentale questa.