Biografie fittizie e identità ritrovate
Sono strafelice che Leggendaria abbia pubblicato il mio articolo su Felicitas Hoppe sul numero 145 (gennaio 2021) della rivista. Questa contentezza è dovuta a due ragioni: il 145 è un numero speciale, infatti festeggia il 25esimo anno di Leggendaria e nel fascicolo Anna Maria Crispino ripercorre temi, copertine e motivi di un corredo ricchissimo e imprescindibile fatto di pensiero, relazioni, condivisioni e libri che senza questa rivista non avrebbero trovato il meraviglioso corso dovuto a uno sviluppo davvero collettivo e sinergico dell’esperienza femminile. Il secondo motivo di contentezza è che non potevo immaginare sede migliore per un articolo che festeggiasse l’uscita italiana di Pigafetta di Felicitas Hoppe nella traduzione di Anna Maria Curci per la casa editrice Del Vecchio, che aveva già avuto il merito di pubblicare nel 2014 Johanna, l’altro capolavoro dell’autrice tedesca. Abbonatevi anche voi a Leggendaria e contribuirete a far viaggiare il libero pensiero e la libera scrittura ovunque ci siano libere lettrici e liberi lettori.
Di questo viaggio racconta il mio primo romanzo Pigafetta, di cui la
critica, unanimemente, certificò che non si trattasse né di un romanzo
né di un resoconto di viaggio, dal momento che non ne soddisfaceva né
i criteri formali né quelli contenutistici. Entrambe le affermazioni sono
esatte. Pigafetta non è formalmente un romanzo, né, dal punto di vista
del contenuto, è un resoconto di viaggio, bensì, oltre al rifiuto inconscio
di copiare scrupolosamente quello che migliaia di altri hanno scritto e
copiato prima di me, in primo luogo nient’altro che il primo tentativo, il
primo di una lunga serie di ulteriori tentativi, di far coincidere la mia
infantile rappresentazione del mondo con il cosiddetto mondo reale.
Felicitas Hoppe, autrice
Seguire e affiancare, qui, significa affrontare i repentini cambi di tempo verbale, ripercorrere l’accurata documentazione storica, dalle cronache della Guerra dei Cent’Anni e della vita di Giovanna d’Arco ai verbali dei suoi interrogatori, alla ricostruzione vivace di Jules Michelet; significa, altresì, esplorare dottrina e teologia, magari partendo proprio dai sette doni dello Spirito, che rivestono un ruolo non secondario; significa, ancora, sapersi elevare alle vette liriche del Cantico dei Cantici, e allora non sorprenderà affatto l’incontro puntuale e ricorrente con l’aggettivo “diletto” con il quale l’io narrante si rivolge a Peitsche; significa, infine, registrare, percepire nel dettaglio della lettera e nel passaggio tra gli ambiti più disparati – citazioni letterarie, credenze popolari, tradizioni culturali e modi di dire quotidiani – l’ironia e l’invenzione, il gioco serissimo delle parole e dei concetti, tra divertenti “bisticci”, felici fraintendimenti e creazioni dal vivido slancio immaginativo.
Anna Maria Curci, traduttrice