FOCUS IL LIBRO DI TUTTI, Elena Ferrante: lavori in corso con Silvana Carotenuto su Leggendaria 147 giugno 2021

Il genio della lingua e ciò che accade, Silvana Carotenuto

Un dialogo nell’economia relazionale femminile, Viviana Scarinci

Leggi il testo integrale su Letterate Magazine


Video delle presentazioni

Casa delle donna Pisa 10 dicembre 2021

Il Giardino dei Ciliegi 18 giugno 2021

Radio Mood Italia ascolta il podcast 13 giugno 2021

Feminism 4 Fiera dell’editoria delle donne 28 aprile 2021

Libreria io ci sto 5 novembre 2020

Estratti disponibili

° L’autrice legge un estratto per il #letturaday

° La vergogna sociale. Leggi un etratto pubblicato pubblicato da Il lavoro Culturale

° Perchè il romanzo di Elena Ferrante è politico. Leggi l’estratto pubblicato da Leggendaria 141-142


Casa Internazionale delle donne di Roma FEMINISM 3 ottobre 2020
Università di Lipsia Biblioteca Albertina 5 novembre 2019
Francoforte di fiera con Istituto Italiano di Cultura 10 ottobre 2018

Notizia su libro

Il libro di tutti e di nessuno viene presentato Casa Internazionale delle Donne di Roma 3 ottobre 2020 nell’ambito Femminism3 organizzato da Società Italiana delle Letterate, Leggendaria e Letterate Magazine. Successivamente a il 5 novembre 2020 presso la Libreria IOCISTO, il 28 aprile 2021 da Feminism 4 Fiera dell’Editoria delle Donne, il 13 giugno 2021 da Mood Italia Radio, il 18 giugno dal Giardino dei Ciliegi di Firenze. Il 10 dicembre 2021 presso La Leopolda di Pisa a cura delle casa della donna

Altri libri su Elena Ferrante

Nel 2018 la casa editrice tedesca LaunenWeber pubblica Neapolitanische Puppen (traduzione di Ingrid Ickler) che viene presentato alla fiera di Francoforte dagli Istituti Italiani di Cultura di Colonia e Berlino il 10 ottobre 2018, l’anno successivo Viviana Scarinci è tra le relatrici del convegno “Elena Ferrante –Genealogie e Archeologie del 20° secolo”  organizzato dall’Università di Lipsia il 4 e 5 novembre 2019

Colonia, 2018

Nel 2014 Doppiozero pubblica la monografia Elena Ferrante che viene presentata nell’ambito di Frigoriferi Milanesi il 7 febbraio 2015.

Milano, 2015


Articoli in rete

Dialoghi ELENA FERRANTE Carotenuto/Scarinci (giugno 2021)

Invisibilità e autorialità di Elena Ferrante  (ottobre 2020)

La vita bugiarda degli adulti (novembre 2019)

L’amica genaile in TV (novembre 2018)

Ciò che la realtà non sa essere per noi (dicembre 2017)

Chi sono i contemporanei di Elena Ferrante? (maggio 2017)

Storia della bambina perduta (novembre 2014)

L’amore o è molesto o non è (dicembre 2012)

Recensioni

Titti Marrone su il Mattino del 15 ottobre 2020

La Ferrante ha dato voce alle donne e a Napoli. Un saggio della Scarinci descrive il ribaltamento letterario realizzato dalla misteriosa scrittrice fin dai tempi di “L’amore molesto” “I suoi sono romanzi politici che mettono al centro della narrazione l’universo femminile e guardano l’Italia attraverso la città.

Una rivoluzione letteraria con un cambiamento di prospettiva dai riflessi internazionali: ecco di che cosa è stata capace la persona celata dietro il nom de plume “Elena Ferrante”. Lo sostiene Viviana Scarinci in “Il libro di tutti e di nessuno – Elena Ferrante, un ritratto delle italiane del XX secolo” (Iacobelli, pagg. 213, euro 16). Vi si percorre l’universo ferrantiano dal 1992, anno d’uscita de “L’amore molesto”, fino al successo avviato nel 2011 dall’apparizione italiana del primo volume della tetralogia de “L’amica geniale”, consacrata a notorietà mondiale dal critico James Wood sul New Yorker nel 2013. Il fil rouge della rivoluzione letteraria viene qui seguito nell’intera opera, comprese le raccolte come “La frantumaglia”. E in questo saggio non si trascurano nemmeno le ipotesi sull’identità di Elena Ferrante, seguendone le tracce vere o fuorvianti disseminate nelle varie interviste.

Il perno del cambiamento ferrantiano consiste nell’aver portato al centro della ribalta letteraria il femminile, capovolgendo il paradigma dominante strutturato sul maschile. Per questo, secondo Viviana Scarinci, “il romanzo di Elena Ferrante è politico”. Il rovesciamento rivoluzionario sta nell’assunto denunciato da una filosofa come Luisa Muraro per cui “tutto ciò che è donna da sempre non è risultato memorabile e quindi degno di esser tramandato alle nuove generazioni”. Altro punto di contatto tra lo sguardo di Elena Ferrante e quello della capofila del pensiero della differenza è la centralità del materno: lo vediamo nel rapporto tra Delia e sua madre ne “L’amore molesto”, ne “La figlia oscura” ma più di tutto nel riconoscimento-rinnegamento della figura materna operato da Lenuccia de “L’amica geniale”.

Ma poi Ferrante ha un altro merito: aver portato al centro della scena narrativa una città scoperta come paradigma non solo dell’Italia: fin ne “La vita bugiarda degli adulti”, c’è un rovesciamento della prospettiva letteraria che induce a “ricominciare a guardare l’Italia attraverso Napoli”. Le storie con cui è sempre stata rappresentata letterariamente la vita italiana- di madri, figlie, famiglie, mariti, fidanzati, rancori, dispiaceri, gioie – si rispecchiano e confluiscono nell’opera di Elena Ferrante, ma in un’ottica nuova. Così, la diade di “Menzogna e sortilegio” indicata da Elsa Morante torna nelle falsità scoperte da Giovanna ne “La vita bugiarda degli adulti”, con la fascinazione esercitata su di lei dalla zia Vittoria, un po’ strega un po’ fata che smaschera le ipocrisie paterne e materne.

Anche i sentimenti sempre percorsi in forma di romanzo sono da Ferrante illuminati di luce nuova, e in una chiave napoletana universalizzante. Per esempio la vergogna sociale raccontato da Annie Ernaux torna come forte elemento narrativo nell’incontro di Lenuccia con la famiglia Airota, o nel sentimento provato da Nino durante la convivenza con Lila e tutte le volte che, descrivendo la Napoli “alta” del Vomero e quella “bassa” del Pascone, “La vita bugiarda” inscena le differenze sociali.

Il gioco del rispecchiamento letterario messo in campo da Viviana Scarinci è vario e complesso, ed ha le sue pagine più convincenti dove si riflette sui punti di contatto con l’ottica di Anna Maria Ortese. Per entrambe, in ballo c’è sempre il conflitto tra natura e ragione. “Infatti, i figli della città, e la città loro madre, vivono di una connivenza che vota il luogo a quell’apparente immobilità di Napoli sotto la quale cova un sempiterno bradisismo. Questo perché Napoli, le sue figlie e i suoi figli sono l’incarnazione di un nefasto genio bifronte”. Così definito dalla somma Ortese: “Un genio materno, d’illimitata potenza, alla cui cura gelosa e perpetua è affidato il sonno in cui dormono quelle popolazioni”. Ed Elena Ferrante sottoscrive.


Laura Fortini su il Manifesto del 2 ottobre 2020

PERCORSI. Due recenti volumi sull’opera dell’autrice de «L’amore molesto». Isabella Pinto firma per Mimesis un articolato saggio filosofico sulle «Poetiche e politiche della soggettività». Viviana Scarinci, per Iacobelli editore, pubblica «Il libro di tutti e di nessuno», un ritratto storico-politico. La ricezione che accoglie in modo più o meno ideologico un’opera letteraria diviene anch’essa parte della storia che la accompagna, come accadde a Elsa Morante. Le sue personagge, come per esempio Lila e Lenù, sono nomadi in cerca di «heimat», perciò protagoniste di furti l’una all’altra. E continuano ad affascinarci. Domani se ne discuterà alla Casa internazionale delle Donne di Roma con la Società Italiana delle Letterate

Al fenomeno Elena Ferrante, divenuto ormai un Global Novel sia nella veste autoriale che nell’insieme delle sue opere, si accompagna un altrettanto fenomenico proliferare di studi critici variamente appassionati ad essa, alla sua identità, alla sua opera in tutti i suoi vari aspetti, con buona pace di detrattori e detrattrici che comunque costituiscono anch’essi parte del dispositivo Ferrante.
Si può infatti notare, come nel caso del dibattito che nel 1974 ebbe inizio proprio sulle pagine del manifesto su La Storia di Elsa Morante, che la ricezione che accoglie in modo più o meno ideologico un’opera letteraria diviene anch’essa parte della storia che la accompagna, non sempre nel migliore dei modi come Morante e La Storia mostrano. A riprova però della vitalità delle opere delle scrittrici in lingua italiana, il cui straordinario successo mostra una capacità di narrazione che non sembra avere uguali e lo dirò chiaramente: lo scrivo con una certa soddisfazione, perché si tratta di fenomeno che va sotto il nome Ferrante ma al quale hanno contribuito molte, moltissime scrittrici, per altro sovente evocate a volte in forma esplicita a volte in modo implicito dalla stessa Ferrante nei suoi scritti di poetica raccolti nella Frantumaglia (e/o 2003, 2016 nuova edizione ampliata).

I LIBRI di Isabella Pinto e Viviana Scarinci, il primo dedicato a Elena Ferrante. Poetiche e politiche della soggettività (Mimesis, pp. 254, euro 22), il secondo intitolato Il libro di tutti e di nessuno. Elena Ferrante, un ritratto delle italiane del XX secolo (Iacobelli editore, pp. 216, euro 16), si collocano nel dibattito intorno al contributo che l’opera della scrittrice nel suo insieme dà al costituirsi di soggettività differenti nel vario scandirsi delle ondate femministe che la stessa Ferrante – qualunque sia la soggettività che abita questo nome – attraversa a più riprese nel corso del tempo, da L’amore molesto a I giorni dell’abbandono per arrivare alla tetralogia de L’amica geniale e all’ultimo romanzo in ordine cronologico La vita bugiarda degli adulti, del 2019, anch’esso oggetto d’analisi.
Entrambi i libri indagano in modi diversi eppur complementari l’opera complessa che va sotto il nome di Ferrante e costituiscono tappa di un fenomeno che bene si colloca sotto il nome di Ferrante Fever, titolo del documentario del 2017: le autrici si soffermano sul tremendo delle donne così ben raffigurato nelle sue opere, le collocano in un contesto filosofico l’uno (Pinto) e storico-politico l’altro (Scarinci), a dimostrazione di quanto e come la letteratura – soprattutto quella a firma di donne – abbia una capacità di narrazione collettiva che diviene narrazione politica quasi nonostante se stessa e che molto ci interroga sulle modalità di narrazione del nostro presente.

QUELLE DI PINTO E SCARINCI sono monografie che ambiscono a riattraversare l’opera tutta ferrantiana, riletta e chiosata attraverso parole chiave a volte simili a volte dissimili, e una bibliografia critica ormai amplissima difficile da contenere e rappresentare, a partire dalle stesse recensioni stratificate nel tempo. Tra tema della cancellazione e capacità stregonesca, tra soggetto emancipato, subalterno e diasporico arrivando al postumano, le personagge di Ferrante sono nomadi in cerca di heimat e perciò protagoniste di furti l’una all’altra, che continuano ad affascinarci nelle loro antecedenti – sia nelle opere di Ferrante che di molte altre – che nelle loro contemporanee. Così come diversamente epica è la vicenda di Lila e Lenù, entrambe strenuamente impegnate nel vivere una vita diversa da quella che la storia e il sistema patriarcale assegnerebbe loro, pure con tutte le ambivalenze che ciò comporta.

Utile a questo proposito la categoria critica focalizzata dalla Società Italiana delle Letterate in un volume del 2014 a cura di Paola Bono e Bia Sarasini (Epiche. Altre imprese, altre narrazioni, Iacobelli editore) che riprende la motivazione del premio Nobel per la letteratura a Doris Lessing nel 2007, «epica cantatrice dell’esperienza femminile, che con scetticismo, ardore e potenza visionaria ha sottoposto a esame una civiltà divisa». Bene si colloca accanto a epiche cantatrici di strambe epopee come Elsa Morante, epiche invettive come quelle di Paola Masino e all’epica della gioia di Goliarda Sapienza l’epica della differenza cantata da Elena Ferrante.
In entrambi i volumi, quello di Pinto e quello di Scarinci, molte pagine sono dedicate alla questione dell’autorialità di Elena Ferrante, indubbiamente uno degli elementi che ha contato nel fenomeno global novel così ben descritto da Tiziana de Rogatis nel 2018 in Elena Ferrante. Parole chiave (e/o, recensito sul manifesto il 4.10.2018).

SI TRATTA DI QUESTIONE su cui Ferrante è tornata più e più volte nel corso delle numerose interviste rilasciate nel corso di questi anni, sottolineando – e come non condividere? – che quello che conta è la letteratura, non l’autorialità. Eppure il mondo intero e anche la critica recente continua a interrogarsi su possibili attribuzioni e molto tempo e molta acribia sono stati e continuano a essere dedicati a cercare elementi di coincidenza o meno di altre autorialità con la scrittura di Elena Ferrante.

ANDREBBE INDAGATO a fondo il meccanismo a volte morboso nei confronti dell’autorialità esplicita, là dove essa sembrava tramontata nel periodo della critica strutturalista in favore dell’opera iuxta propria principia. Fin dai tempi dell’Amore molesto – e quindi dal 1992 – era chiara infatti la sottrazione a quello che nel confronto con Nicola Lagioia a conclusione della nuova edizione della Frantumaglia viene definito «il pettegolezzo letterario che di letterario non ha niente»: nelle note diffuse sull’autrice dell’allora prima romanzo si dichiarava che essa viveva appartata in un’isola del mar Egeo, in solitudine.

DISTANTE almeno quanto il mar Egeo è ancora la sua identità ma quanto di meno identitario è il nome pubblico Ferrante, all’insegna di una solitudine assai ricca di però parole scritte, le uniche alle quali giustamente consegnare il proprio profilo pubblico, lasciando a sé la vita privata. Si potrebbe così collocare Elena Ferrante in un ideale prosieguo del ciclo dedicato al genio femminile da Julia Kristeva: geniali le amiche Lila e Lenù, geniale Ferrante stessa nel rappresentarsi in modo non identitario in un tempo affamato di pulsioni identitarie e sovraniste e questo sì, ha molto della politica nel senso proprio della parola.

da cartaceo e su web https://ilmanifesto.it/elena-ferrante-tra-le-pieghe-epiche-di-una-storia-geniale/


Silvana Carotenuto su Leggendaria 147 e in Letterate Magazine

In Genesi, genealogie, generi, e il genio. I secreti dell’archivio, Jacques Derrida celebra il dono di Hélène Cixous della sua sterminata opera critica e letteraria (l’archivio composto dalla scrittura, dalle lettere, i documenti, i taccuini, i diari dei sogni, l’inconscio, la presenza della madre Eve, la prima donna, l’evento, il risveglio, la veglia, il revenant o il fantasma) alla Biblioteca Nazionale di Francia, la BNF.1 Derrida, in verità, saluta la “Tout-puissance-autre” – La “onnipotenza-altra”, il segreto, non la cripta da rivelare ma l’alterità incondizionata al potere, oltre ogni sovranità o autorità che governi la lettura, l’altro/a che arriva, il genio – della e per la Letteratura, per la sopravvivenza e l’afterlife della letteratura creata dalla scrittrice amica e, insieme, della Letteratura in generale.

Derrida entra in dettaglio nella famiglia di parole rette dalla “g” (il nome del padre e del figlio, Georges, onnipresente nella realtà biografica e nella finzione di Cixous, ed insieme, il personaggio Gregor de La metamorfosi di Kafka), che mette in moto e sostiene la sua lettura decostruttiva: le genesi dell’opera, le genealogie che la articolano e ne aprono l’eredità, i generi che la ibridizzano, la sostanziano e la moltiplicano, e infine, il genio (parola che, in francese come in italiano, è declinata sempre e solo al maschile, e al singolare, aprendo così la riflessione derridaiana alla questione dei generi sessuali presenti nella opera della madre dell’ecriture feminine, e anche il nome proprio come patronimico di più-di-un-genio-in-“una”,alfemminile) che la firma e la controfirma, la carezza del «genio della lingua» (31) che apre nuovi orizzonti perché sempre in eccesso su se stesso.

L’eccesso è la generosità dell’opera letteraria; è qui il dono di Il libro di tutti e di nessuno. Elena Ferrante. Un ritratto delle italiane del XX secolo di Viviana Scarinci, che ricorda il saluto di Derrida al genio di Cixous costituendosi come un testo che, allo stesso modo, pur nella propria differenza, celebra le genesi, le genealogie, i generi e il genio “femminile” dell’opera (di “tutti e di nessuno”, se esso costituisce il “terzo libro” creato dall’immaginario collettivo delle lettrici e dei lettori) di Elena Ferrante – con la generosità che contraddistingue l’autrice e la sua interprete.

Le genesi

Sono effettivamente plurali le genesi dell’opera di Ferrante. Il debutto avviene nel 1992, un anno determinante per le vicende storiche, sociali e culturali dell’Italia datando la vicenda Gladio, l’emergere di Tangentopoli, l’uccisione di Falcone e Borsellino, la nascita della Lega, la pubblicazione di Petrolio di Pasolini. Nei confronti di questo contesto nazionale specifico, Ferrante compie un’altrettanta specifica scelta di campo, ponendo al centro del suo universo narrativo l’invenzione del “dispositivo finzionale” ospitale di una donna, in realtà, molte donne poste sullo sfondo di una Napoli-matrice, dove è possibile andare alla ricerca della madre, ricordare la molestia di un amore e, forse, anche costituirsi quale “soggetto” diverso.

Per Scarinci, L’amore molesto segna l’inizio politico del romanzo del “trauma”, la discesa individuale in una affettività negata, lo scontro con la brutalità di uno status quo determinato, gestito e manipolato dal maschile, dal patriarcato e dal potere. L’inizio segna l’indagine conoscitiva spinta dalla pulsione della “individuazione femminile”, che è la lotta strenua ad originare una “dicibilità” e una “visibilità” in un mondo – privato e pubblico – che rimanda il momento storico del riconoscimento della differenza femminile, creando intorno a essa il “vuoto” – che è, probabilmente, e forse polemicamente, incarnato dall’assenza voluta e ricercata di Ferrante dallo spazio pubblico se non tramite la sua scrittura.

Il romanzo del “trauma” continua ne I giorni dell’abbandono del 2002 e La figlia oscura del 2006, per arrivare, passando attraverso la fiaba La spiaggia di notte del 2007 e il ritorno de La frantumaglia (2003/2016), alla tetralogia de L’amica geniale, che nasce nel 2011 e si conclude nel 2015 (per estendersi, ancora, in L’invenzione occasionale, e infine, in La vita bugiarda degli adulti, entrambi apparsi nel 2019). Con la tetralogia, scrive Scarinci, il “dispositivo” è pronto per imporsi a un pubblico vasto; i meccanismi dell’identificazione sono stati esposti, mirati e costruiti per rendersi globali; il “terzo libro” della collettività condivisa – creato dalla penna autoriale e, insieme, dall’immaginazione di chi legge – è scritto e viene pubblicato con immenso successo di critica e di readership. Per dare conto di quanto interesse quest’opera abbia suscitato nel mondo, in particolare negli Stati Uniti ma, considerate le traduzioni e l’eco editoriale, consacrati sull’intero pianeta, Scarinci studia e pensa insieme all’immenso archivio di articoli, recensioni, interventi, dibattiti nazionali (il riferimento, a livello italiano, va a Luisa Muraro, a Elsa Morante e a Umberto Eco, in termini generali) e internazionali che si sono sviluppati intorno alla pubblicazione della tetralogia: il testo di Scarinci diviene così esso stesso l’“archivio” della produzione dell’ “archivio Ferrante”.

Il cambiamento

Ciò che importa è che l’opera segna il cambiamento nella poetica della scrittrice che, dopo l’intimismo dei primi tre romanzi, è qui alle prese con la relazione tra le donne, le due amiche nel quartiere Luzzati che funge da microcosmo degli incontri, delle aspirazioni, dei percorsi condivisi, speculari doppi e diversi, che narrano una parabola universale. Tramite la relazione, e sullo sfondo del luogo simbolico e metonimico di una generazione storicamente ben definita, si dipanano le dinamiche della crescita, le manipolazioni, gli amori (prevalentemente sotto l’egida delle convenzioni sociali), i matrimoni (fallimentari, il che non sorprende, se si pensa alla conquista popolare del divorzio degli anni Settanta), i destini e i futuri – del e al “femminile”.

La lingua di Ferrante comunica le vicende vissute – autobiograficamente, ma solo perché innervate di materiali conosciuti direttamente dalla scrittrice, e, per ciò, esponibili ed esposti alla condivisione e alla comunicabilità. L’infanzia, la maturazione, i risultati esistenziali e, insieme, le vicende dell’istruzione, del potere, le norme e i ricordi: Ferrante passa dal piano individuale a quello collettivo-mondiale. Il contraltare dell’euforia del secondo dopoguerra si costruisce sulle avventure – i percorsi, i cammini, le “frantumaglie”, le “smarginature”, le “vigenze”, le “incoerenze” (Scarinci dedica grande attenzione al ruolo di questi istanti di “non-senso” in Ferrante, che tentano di dire veramente la questione dell’eredità materna, l’identità fratturata, e la realtà negata al e del femminile) – e sulle metonimie del dispositivo creativo, riempiendo, infine, lo spazio “vuoto” col desiderio delle donne.

Donne che sono nell’ “ambivalenza” – come risposta “non-ideologica” alle forme “ideologiche” che può aver assunto il femminismo italiano (qui il riferimento va all’interessante volume curato da A.M. Crispino e M. Vitale, Dell’ambivalenza. Dinamiche della narrazione in Elena Ferrante, Julie Otsuke e Goliarda Sapienza).

Insieme all’ambivalenza, Scarinci cita la “vergogna sociale” (in relazione a La vergogna di Annie Ernaux), sottolineando come esse nascono al reale, si generano autonomamente nella Letteratura, costruiscono genealogie alternative (per Ferrante, il cuore della sua poetica pulsa insieme a Anna Maria Ortese), piegano i generi (la favola, il territorio flegreo, il mitico Vesuvio, il mitologico Averno, la saga, il Bildungsroman, il romanzo stesso, i Neapolitan Novels) al dinamismo della condivisione, concentrandosi, infine, sul genio o sulla “brillantezza” (al femminile) dell’amicizia.

L’angelo-demone, il dono o genio della relazione: il “libro di tutti e di nessuno” è finito (in realtà, La vita bugiarda degli adulti è una opera tanto palpitante e vicina che, pur arrivando per ultima, apre o ri-apre l’interpretazione-in-progress di Scarinci a un ulteriore giro di vite che illumina nuovamente, à nouveau, gli esiti della scrittura di Ferrante, che ora si concentrerebbe sul meccanismo della “verità” storica, che è insieme individuale e collettiva).

In conclusione, mi chiedo se, in realtà, questa fine non possa aprire il dibattito a una condivisione del genio non solo tra i personaggi dell’opera di Ferrante, ma anche nella relazione tra colei che interpreta e colei che legge qui la sua generosa interpretazione. Ad un certo punto della sua analisi, Scarinci dice che il genio è ciò che stimola, che mette in atto la trasformazione, «che ispira grandi opere e guasta passo passo ogni certezza». Vorrei interpretare per un istante io stessa questo demone, la genialità dell’altra, chiedendo, dall’interno della nostra recente ma intensa relazione di amicizia, a Viviana alcune cose:

  1. La lingua: Virginia Woolf, Ingeborg Bachmann, Clarice Lispector e prima, e insieme a loro, Anna Maria Ortese (per non parlare, in campo filosofico, di Luce Irigaray), hanno avvertito ed esperito la “pulsione dall’individuazione” solo e sempre all’interno della scrittura, tramite la sperimentazione di una lingua che mai ha potuto o voluto semplificarsi al fine di condividersi. Per queste scrittrici, preziose generatrici di pensiero femminile, mi sembra che l’individuazione sia sempre e solo passata attraverso l’invenzione di un’altra lingua, una lingua che non si piega ai dettami della comunicabilità in termini di convenzioni, norme, strutture, o conformità d’espressione. Sarà il ritorno di una logica arcaica, ma giusta: non esistono contenuti nuovi se non veicolati da una nuova forma.

La popolarità, il superamento della dialettica cultura alta/cultura popolare, il margine vissuto come chance e rivendicato come potenza di condivisione, tra le donne, con l’umano, l’altro dall’umano, oltre l’umano, impegnano, secondo l’eredità e la filiazione della sperimentazione femminile, all’immanenza di pratiche innovative col corpo stesso della scrittura. Era ciò che, personalmente, trovavo e amavo nei romanzi di Ferrante che Viviana definisce del “trauma”, chiedendomi perché questa indagine, che era, anche e soprattutto, l’analisi militante del trauma della lingua stessa, sia rimasto al riparo delle ingerenze dell’editoria mondiale, che invece hanno “scoperto” e “venduto” con tanto guadagno, la Saga di Ferrante…

  1. L’assenza: mi ritorna qui in mente Emily Dickinson, la donna minuta, vestita di bianco, solitariamente dimorante nel perimento della sua stanza con finestra, comunicando con il mondo tramite la poesia, e con le lettere passate nel segreto, indecidibile e indicibile, “geniale”, del riserbo, oltre ogni spettacolarizzazione. ll ricordo e la forza del suo enigma lirico mi aiutano a difendermi dal noise assillante e invasivo del “caso” Ferrante…
  2. La condivisione: per il demone che interpreto, è qui in gioco l’ultimo e forse il più importante tratto della “differenza”. Se il presente ha sancito la capacità del “dispositivo Ferrante” di rappresentare l’individuazione comune al femminile che, in realtà, ancora oggi fa ancora fatica ad accedere alla visibilità e alla dicibilità privata e pubblica (attirando a sé, letalmente, sempre più violenza e aggressività), si potrà mai rivendicare una “singolarità” che egualmente appartiene a una generazione di donne che non possono condividere in nessun modo i percorsi dei personaggi femminili di Ferrante?

Sono nata nel 1959, nei pressi di Napoli, da una madre di famiglia contadina, povera e solidale, affettuosa e premurosa. Mia madre era una donna libera, intelligente e forte; mi ha insegnato il senso della giustizia e del rispetto. Anche lei migrata nella cultura nazionale urbana, anche lei sposa per amore e libera per disamore, non ha mai sentito e vissuto il rancore, il risentimento o il pregiudizio storico e culturale (se lo ha fatto, ha lottato una vita per superarlo) ma, da essere libero e solo, ha sostenuto indefessamente la mia curiosità intellettiva, la mia “istruzione”. Non ho conosciuto violenza da mio padre – certamente euforico per il boom culturale degli anni Sessanta, e così aderente al mito del “vitellone” da perdere progressivamente ogni fascino e affezione… Potrei continuare la mia saga – che è sicuramente meno geniale di quella di Ferrante ma che appare, alla consapevolezza della mia vita, sempre irrequieta e insofferente a conformarsi alla “tipizzazione”.

Che spazio offre il “dispositivo Ferrante” all’altra da sé? Che interesse può avere a tipizzare ciò che non può e non vuole esserlo? Quale visibilità propone se la sua individuazione si associa allo stereotipo, e alla devastante malinconia che lo stereotipo porta con sé? La serie televisiva, ancor più che il romanzo, a me si rilevava impossibile da guardare e da ascoltare; che lingua era quella? Perché risuonava così falsa? E perché proprio da Napoli doveva inviarsi al mondo quel tono malinconico, triste, affannato, così imbalsamato, rigido e severo, addirittura da “cattivo auspicio”? Le donne che ho amato e amo nella letteratura e nella vita, sono benedette dalla jouissance, insofferenti al suo dialettico e destinale opposto, il “sole nero” che ha impegnato Julia Kristeva in un’opera magistrale per la liberazione delle donne, ma che certo non ne indica l’irremovibilità e/o la condivisione globale….

E perché, questa “insormontabile malinconia” condivisa dalle donne del globo, è così dolorosamente associata, all’interno della Tetralogia, alla scrittura stessa, al Libro, che, invece e diversamente, come mi hanno insegnato le dee della differenza sessuale, vola/ruba in singolarità e in differenza, facendosi progetto totale, già e sempre, inscritto nella vita delle donne avvenuta prima di ogni genesi, e sempre futura, ancora a-venire… ?

Quanti passi il genio vorrebbe ancora percorrere, forse un po’ provocatoriamente a mettere in discussione ogni certezza… Rimane, infine, l’evocazione di Derrida che, parlando della Tout-puissance-autre della Letteratura, conclude affermando che il genio è ciò che accade – contro, oltre, fuori da, e in rottura con ogni omogeneità familiare genetica, generazionale, e genetica, costituendo il gettito imprevedibile e incontrollabile di ciò che arriva a portare con sé la mutazione e la discontinuità, l’imprevedibilità e la contingenza:

Geniale non è un soggetto, né un soggetto immaginario, né un soggetto della legge o del simbolico, un soggetto possibile, ma ciò che succede […] Geniale è l’unicità di una arrivance impossibile alla quale ci si indirizza, che non è che l’improbabile destinazione dell’indirizzo – e è sempre “tu”… (p. 91)

Grazie per l’arrivo della tua generosità, Viviana.

1. J. Derrida, Genèses, généalogies, genres, et le gènie. Les secrets de l’archive, Paris, Galilée, 2003 (mia traduzione).

Su Mangialibri una recensione di Andrea Pozzali aprile 2021

Cosa si nasconde dietro il successo di un’autrice che, con la sola forza della sua scrittura, è riuscita a occupare un posto di primissimo piano nel panorama italiano e internazionale? Un’autrice che ha volutamente posto al centro del suo lavoro il tema della marginalità, che ha saputo rivisitare in modo del tutto originale una città come Napoli facendo di essa, al di là di ogni facile tentazione folcloristica, il simbolo di una condizione che riesce a colpire i lettori di tutti i luoghi del mondo? Un’autrice che parla di donne “come nessuno ha saputo fare prima”, accendendo i riflettori “su un vuoto che urlava da tempo il bisogno di essere colmato” e gettando le basi “di una concezione nuova di approccio all’esperienza di genere” in grado di superare i limiti stessi degli studi femministi? Una scrittrice “riconosciuta a livello internazionale come un’artista capace di un’influenza globale a tutti gli effetti, pur senza essersi mai presentata in forma corporea ed esprimendo la propria soggettività esclusivamente attraverso la parola scritta”?

La figura di Elena Ferrante si è imposta all’attenzione di pubblico e critica fin dal suo esordio nel 1992 con il romanzo L’amore molesto, oggetto anche di una riduzione cinematografica ad opera di Mario Martone. Il grande successo è poi arrivato nel 2011 con L’amica geniale, primo volume di una tetralogia a cui hanno fatto seguito Storia del nuovo cognome (2012), Storia di chi fugge e di chi resta (2013) e Storia della bambina perduta (2014). Libri tradotti in più di cinquanta Paesi e che hanno venduto milioni di copie, opere di una scrittrice per certi versi “misteriosa”, che ha sempre protetto il suo anonimato, facendo sorgere anche tesi discordanti in merito alla sua reale identità. Una scrittrice che nel 2016 ha avuto l’onore di essere inserita da “Time” nella lista delle 100 persone più influenti al mondo, a riprova di un successo in grado di andare ben oltre i confini nazionali. In questo Il libro di tutti e di nessuno Viviana Scarinci ripercorre tutte le tappe del percorso autoriale della Ferrante, prendendo in considerazione non solo i romanzi ma anche le interviste e i saggi contenuti nel volume La frantumaglia. Il libro analizza i temi fondamentali della narrativa della Ferrante, mettendo in luce il rapporto simbiotico dell’autrice con Napoli e l’influenza di scrittrici come Elsa Morante e Anna Maria Ortese, oltre a sottolineare la centralità delle figure femminili, colte nel loro difficile processo di emancipazione da una società nella quale il potere degli uomini è ancora predominante. Per chi ama i romanzi della Ferrante è un libro da consigliare, coloro che non conoscono le opere di questa scrittrice rischiano di perdersi in questo saggio così denso e appassionato.


Su Leggere donna una recensione di Mariana Vitale aprile 2021

Nel 2020 la SIL, Società Italiana delle Letterate, ha fatto la scelta arguta di rintuzzare con un punto interrogativo questa perdurante condanna all’invisibilità, intitolando “Invisibili?” il proprio convegno, la cui prima sessione era dedicata alla presentazione di due monografie appena uscite: Elena Ferrante. Poetiche e politiche della soggettività, di Isabella Pinto (Mimesis) e Il libro di tutti e di nessuno. Elena Ferrante, un ritratto delle italiane del XX secolo, di Viviana Scarinci (Iacobelli)” (…) Scarinci, dichiara fin dal sottotitolo la volontà di delineare «un ritratto delle italiane del XX secolo», e lo fa scrupolosamente, come quando traccia la mappa urbanistico-sociologica di una «città di sopra» e di una «città di sotto» che sottende le aspirazioni e i cambiamenti di status che sono raccontati in tutti i romanzi, e che si attaglia alla città di Napoli, ma anche a un panorama dell’anima. Ma ci regala soprattutto una modalità di scrittura coinvolgente e poetica, quasi mimetica rispetto a certe caratteristiche della scrittura di Ferrante che spalanca spaccati di trascendenza avvicinabili ai woolfiani “momenti di essere”, facendoci «affacciare sul tremendo»”


Su L’adigetto una recensione di Luciana Grillo del 10 dicembre 2020

Storie di donne, letteratura di genere. Un saggio che descrive l’intera produzione dell’autrice

Chi ha letto i romanzi di Elena Ferrante non può non avvicinarsi con curiosità a questo saggio che non soltanto racconta l’intera produzione dell’autrice, ma ne spiega i rapporti con la cultura internazionale e ne descrive i successi, operando confronti, ad esempio con Virginia Woolf, e recuperando brani di interviste e di articoli della misteriosa scrittrice.
Il grande successo arriva poco dopo la pubblicazione del primo dei quattro romanzi, «L’amica geniale», velocemente tradotto e pubblicato all’estero, e degli altri che seguiranno tra il 2011 e il 2015.
La fama letteraria e mediatica di Ferrante si diffonde a livello internazionale, mentre solo un anno dopo Time inserisce la scrittrice fra i 100 personaggi più influenti dell’anno.
A quel punto, tanti studiosi si interrogano su un successo così rapido, coronato infine dalla fiction «che allargherà a dismisura il pubblico di Elena Ferrante aggiungendo a quello dei suoi lettori, il numero sterminato dei fruitori delle serie televisive».
Scarinci segue il lungo fil rouge che ha tessuto l’autrice, partendo dai suoi primi scritti fino a «La vita bugiarda degli adulti», considera che sempre si incontrano ambienti umani e sociali assai diversi fra loro – basti pensare al binomio Greco-Airota nella quadrilogia e alla città di sopra e di sotto, ad Andrea, il migliore, e a sua sorella Vittoria, la peggiore nell’ultimo lavoro, – esamina il contesto storico in cui si sviluppano le storie, ritrova fra le pagine il boom economico, l’evoluzione del matrimonio, i problemi legati all’istruzione, alla migrazione, alla marginalizzazione, ecc .
E non trascura la letteratura di genere, a partire dal 1700 e venendo via via incontro al ’900, quando finalmente le lettrici «compiono un significativo progresso di consapevolezza grazie alla novità assoluta costituita dal racconto di autrici donne che parlano dalla parte delle donne».
Dunque Neera, la Marchesa Colombi, Matilde Serao sono in qualche modo le apripista, non autrici di diari nascosti agli occhi degli uomini, ma «coscienti del loro ruolo privilegiato innanzi tutto perché scrivono per professione e il loro è un lavoro retribuito».
Da queste scrittrici parte Ferrante, non a caso l’amicizia tra Lila e Lenuccia nasce grazie al romanzo Piccole donne… e poi riprende Anna Maria Ortese e le sue folle di personaggi, ricorda Elsa Morante, ammette l’uso del dialetto sapendo che «nella visceralità della propria lingua sta annidata tutta la furia e la quiescenza di cui un individuo e un popolo possano dirsi eredi», immerge «lettrici e lettori in una totalità ipotetica del vissuto sociale composta soprattutto dai violenti attriti, dagli ostacoli, dai congelamenti e dalle retromarce che le donne non solo italiane hanno vissuto quotidianamente dal momento in cui hanno iniziato il loro cammino verso il perseguimento di un percorso di autonomia».
Altro personaggio a cui Ferrante fa riferimento è Didone, «che soccombe perché simboleggia la donna abbandonata… figura chiave, tanto che l’autrice la usa per mettere in relazione la donna e la città», mentre Scarinci ci riporta, oltre che a Virginia Woolf, a Umberto Eco, a Sylvia Plath, a Silvia Vegetti Finzi, fino a Thomas Mann e a Goethe.
Dunque, per 210 pagine, viviamo seguendo i romanzi di Elena Ferrante, ci immedesimiamo nelle vicende, condividiamo i pensieri delle protagoniste, almeno di alcune.
Chi non si è mai posta una domanda come quella che Lenuccia pone a se stessa, dopo l’incontro fra la sua famiglia di origine, proletaria e caotica, e quella di suo marito Pietro, una famiglia atea, socialista, simbolo di cultura e di lotta per la giustizia sociale?
 Eccola, la domanda che prova la realistica incertezza esistenziale della scrittrice (il cui libro è stato pubblicato solo «grazie all’intervento della suocera»): «Ciascuno si portava nel corpo i suoi antenati. Come sarebbe andato il nostro matrimonio? Cosa mi aspettava? Le affinità sarebbero prevalse sulle differenze?».


Su Teatri e culture una recensione di Elide Apice 14 dicembre 2020

Sono tanti gli appassionati e le appassionate delle parole di Elena Ferrante e “Il libro di tutti e di nessuno” di Viviana Scarinci ( Iacobelli editori) prova a dare risposte alle infinite domande che i lettori e le lettrici si sono poste riguardo ai temi trattati e anche rispetto all’identità sempre celata dell’autrice.
Una scrittrice dal meritato successo non solo in Italia, ma a livello mondiale che pone Elena Ferrante tra le narratrici più famose in assoluto.
Viviana Scarinci accompagna i lettori in un lungo percorso di conoscenza di Elena Ferrante fin dal suo esordio e naturalmente attraverso la arcinota tetralogia dell’Amica geniale.
In tutti i testi di Elena Ferrante l’eterna lotta sociale, la voglia di cambiamento, l’impossibilità di un cambiamento per la necessità di restare legati alla propria estrazione sociale e al proprio luogo con uno sguardo attento alla società a ai suoi mille problemi.
Libri nei quali sono palesi i riferimenti a un certo tipo di narrazione di genere, protagoniste le donne.
Un libro, questo della Scarinci, molto articolato, apparentemente complesso, ma decisamente fruibile, soprattutto a chi ha letto la produzione della Ferrante, ricco di citazioni letterarie e naturalmente aperto a diversi spunti di riflessione su un tipo di narrazione che mette al centro le donne.
Tanto si è detto della “invisibilità”, della Ferrante, una scelta, secondo la saggista, che crea un vuoto che viene riempito dalle donne protagoniste dei suoi romanzi, assunte ad esempio delle vessazioni subite dalle donne nel corso dei secoli.
Per tutte, violenze psicologiche e non solo dettate dalle convenzioni sociali e quindi familiari che hanno sempre impedito alle donne di esprimersi secondo le proprie volontà, di scegliersi il partner giusto, obbligate a obbedire tacendo e solo per una questione di genere.
 


Su Vitamine Vaganti una recensione di Sara Marsico 7 novembre 2020

«Il tempo semplicemente scivolava via senza alcun senso, ed era bello solo vedersi ogni tanto per sentire il suono folle del cervello dell’una echeggiare dentro il suono folle del cervello dell’altra.»
Elena Ferrante (da Storia del nuovo cognome)

Il libro di tutti e di nessuno – Elena Ferrante, un ritratto delle italiane del XX secolo di Viviana Scarinci è un testo «ad alta densità di conoscenza ma di forte leggibilità», come recita l’apertura della collana Workshop diretta da Anna Maria Crispino ed edita da Jacobelli. L’autrice ci accompagna in un percorso, ricco di citazioni, collegamenti letterari e filosofici, spunti di riflessione e recensioni e ci avvicina alla scrittrice che ha fatto dell’invisibilità la sua caratteristica principale. Credo che, dopo aver letto questo libro, ne capiranno le ragioni anche le persone più scettiche di fronte ad un successo tanto grande, avvenuto, come spesso accade, prima all’estero e poi in Italia. Checché se ne pensi, l’opera dell’autrice invisibile è già stata tradotta in cinquanta Paesi ed ha venduto dodici milioni di copie in tutto il mondo, contribuendo a portare l’Italia all’interno di un discorso globale sulla centralità delle donne.
La fama di Ferrante arriva con l’uscita della prima parte della saga L’amica geniale, nel 2011. Il ” Time” la inserisce tra i 100 personaggi più influenti dell’anno 2016. L’“effetto Ferrante” sarà tale da far schizzare i libri scritti da donne tra la metà dei venti migliori best seller italiani nella narrativa. Chi recensisce questo libro di Scarinci è un’appassionata lettrice dell’autrice napoletana, e vi ha trovato spunti interessanti anche per i/le non addette ai lavori come lei. «Il romanzo di Ferrante è politico» ha dichiarato il regista Saverio Costanzo in occasione della presentazione della fiction di L’amica geniale, alla cui sceneggiatura ha partecipato la stessa autrice, e politica la scrittura di Ferrante indubbiamente la è, perché in grado di trasmettere contenuti politici molto più di un’ideologia. Il romanzo dell’autrice è politico «soprattutto perché segna un approdo a un modo di raccontare il femminile in una totalità che esiste da sempre, senza prevedere la centralità del femminile» (G. Fraisse, Il mondo è sessuato. Femminismo e altre sovversioni).
Nella tetralogia di L’amica geniale temi come, tra i tanti, il potere dell’istruzione e della scuola negli anni Cinquanta o il matrimonio come mezzo per compiere una scalata sociale o professionale sono trattati attraverso il racconto della vita delle due amiche, Lila e Lenuccia, che si rispecchiano una nell’altra, e di quelle dei tanti personaggi di contorno, che vivono nel “Rione” di Napoli.
In questi libri si racconta una genealogia femminile, partendo da un periodo, il secondo dopoguerra, in cui le vicende femminili non erano degne di essere tramandate alle nuove generazioni. Il romanzo di Ferrante è politico e contemporaneo anche perché «qui più che altrove, il margine è inteso come il luogo più popoloso e interessante del mondo». Insieme all’autenticità e all’invisibilità, la cifra che accompagna i romanzi ferrantiani è certamente l’ambivalenza: «Ma è pur vero che nell’ammirazione tra donne, l’ammirazione per l’altra può diventare affetto e amore, ma anche generare invidia e competizione […] in quella ricerca di identità che ha contrassegnato il Novecento, il rapporto a due (o a molte), tra donne, ci pare si giochi spesso in un rimbalzo continuo di rispecchiamenti e prese di distanza che investe le diverse forme di amicizia, le relazioni amorose e sessuali, le pratiche condivise dell’agire politico».
Scarinci, grande conoscitrice di Ferrante, ne esamina l’intera produzione letteraria e saggistica, da L’amore molesto, La figlia oscura, I giorni dell’abbandono fino a La vita bugiarda degli adulti, sviscerandone le tematiche più importanti e i collegamenti con le madri letterarie e filosofiche, oltre alla sua conoscenza profonda del femminismo e della storia delle donne. Poche sono le informazioni in nostro possesso su Ferrante e molte discendono da quella che Scarinci chiama La nuova frantumaglia, unlibro di quasi quattrocento pagine che ripubblica ed amplia il numero di materiali inediti e materiali diffusi dalla stampa internazionale fino ad aprile 2016.
Non importa in questa sede raccontare su chi si siano focalizzati i sospetti sull’identità di Ferrante dopo un articolo di “Il Sole 24 ore” che ne svelava l’identità. È indubbio che, nel dibattito che ne è seguito, con toni e parole spesso misogine e sessiste, il grande assente è stato il corpo della scrittrice, con una scelta voluta da lei stessa, quasi a confermare l’invisibilità del femminile sia nella società che nel romanzo. L’autrice del libro lo dice in modo superlativo: «Elena Ferrante ci parla di donne come nessuno ha saputo fare prima. Attraverso la propria immagine mancante ha infatti acceso i riflettori su un vuoto che urlava da tempo il bisogno di essere colmato. L’assenza dell’autrice come corpo e come identità femminile non è da considerarsi un elemento esterno al romanzo di Elena Ferrante ma è posto nell’ambito del dispositivo rappresentato da tutto ciò che concerne questa autrice, a segnalare una mancanza che investe in larga misura sia la società che lo statuto del romanzo».
In un’intervista riportata dalla saggista blogger la scrittrice, che ha scelto Napoli come ambientazione dei suoi libri e Anna Maria Ortese come riferimento culturale importante, confessa che quello che ha scritto ha avuto su di lei una portata emotiva talmente forte da spingerla a ritrovare l’integrità perduta solo attraverso il rifiuto radicale nei confronti delle manifestazioni e degli incontri pubblici in cui si presentavano i suoi romanzi.
Ferrante, attraverso le storie che racconta e significativamente attraverso L’amica geniale, riesce a far percepire ai lettori e alle lettrici contemporanee le violenze, non solo psicologiche, inflitte alle donne negli anni in cui le trame dei libri si svolgono, i forti condizionamenti sociali e culturali, la difficoltà di scegliere il loro destino, un rapporto con gli uomini complesso e difficile, l’emergere del femminismo e delle riflessioni tra donne che l’unica rivoluzione nonviolenta del Novecento, il femminismo appunto, ha provocato. Imprescindibile, per chi si accosta alla saga del Rione, la citazione di una pensatrice femminista visionaria, fondamentale per capire che cosa sono il patriarcato e il potere maschile nella descrizione della realtà e nel nominare il mondo. Mi piace ricordarle, insieme alla riflessione di una Elena Greco, ormai diventata donna.
«Sputare su Hegel. Sputare sulla cultura degli uomini, sputare su Marx, su Engels, su Lenin. E sul materialismo storico. E su Freud. E sulla psicanalisi e l’invidia del pene. E sul matrimonio e la famiglia. E sul nazismo, sullo stalinismo, sul terrorismo. E sulla guerra. E sulla lotta di classe. E sulla dittatura del proletariato. E sul socialismo. E sul comunismo. E sulla trappola dell’uguaglianza. E su tutte le manifestazioni della cultura patriarcale. E su tutte le forme organizzative. Opporsi alla dispersione delle intelligenze femminili. Deculturalizzarsi. Disacculturarsi a partire dalla maternità, non dare figli a nessuno. Sbarazzarsi della dialettica servo-padrone. Strapparsi dal cervello l’inferiorità. Restituirsi a sé stesse. Non avere antitesi. Muoversi su un altro piano in nome della propria differenza. L’universalità non libera le donne ma perfeziona la loro repressione. Contro la saggezza. Mentre i maschi si danno a imprese spaziali, la vita per le femmine su questo pianeta deve ancora cominciare. La donna è l’altra faccia della terra. La donna è il Soggetto Imprevisto. Liberarsi dalla sottomissione, qui, ora, in questo presente. L’autrice di quelle pagine si chiamava Carla Lonzi. Com’è possibile, mi dissi, che una donna sappia pensare così? Ho faticato così tanto sui libri.»
Oltre a Lonzi, Scarinci ci ricorda i riferimenti filosofici di Ferrante: Shulamith Firestone, Luce Irigaray, Adriana Cavarero, Elena Gagliasso, Donna Haraway, Judith Butler, Rosi Braidotti, Luisa Muraro. Tra quelli letterari, Morante di Menzogna e sortilegio, oltre a Ortese di Il mare non bagna Napoli. Quelli della scrittrice invisibile sono romanzi di genere che, attraverso la conoscenza approfondita della cultura, della filosofia e della storia delle donne del suo tempo, la portano a veicolare saperi filosofici, psicologici e sociali relativi al femminile ancora non metabolizzati socialmente, che però hanno saputo catturare lettrici e lettori in tutto il mondo. Soprattutto le lettrici hanno potuto trovare nei suoi testi gli strumenti per acquisire una maggiore consapevolezza dei loro ruoli di mogli, figlie, madri e ad «addentrarsi in un percorso difficoltoso ma necessario verso l’individuazione della loro soggettività in senso civico». Il denso e ricco testo su Ferrante scandaglia tutti i suoi scritti e ci introduce ad alcuni termini, come la Frantumaglia o la Smarginatura di Lila e non solo, che sono di un interesse estremo per comprendere la sensazione di incompletezza provata dalle donne in un mondo in cui sono a disagio perché fanno fatica a riconoscervisi, un mondo che non è stato pensato da loro e per loro, in cui si percepiscono come soggetti mancanti nella cerchia familiare, professionale, affettiva, sociale. Anche la parte sulla trascendenza merita una lettura approfondita, come quella che ci illustra il suo interesse per la figura di Didone, che ci richiama Una donna spezzata di Simone di Beauvoir. «Sembra un tema abbastanza screditato, ma in realtà è la tematica più crudelmente posta dalle esistenze femminili. – scriverà” la scrittrice nascosta” in una lettera a Goffredo Fofi – La perdita dell’amore è una falla, causa un vuoto di senso. La città senza amore è una città ingiusta e crudele.»
Il saggio di Scarinci, poeta e saggista, è accurato e profondo e costituisce una lettura fondamentale per comprendere appieno i testi della scrittrice invisibile, che ha saputo affascinare cittadine e cittadini globali iperconnessi di tutto il mondo, raccontando molto dell’identità di ciascuno di loro. Estremamente interessanti, anche se più complessi, sono i capitoli intitolati al concetto di trascendenza e alla sospensione dell’incredulità, utilissimo, quest’ultimo, per capire il presente della società della spettacolarizzazione. Anche il capitolo sulla questione del potere è ricco di spunti preziosi di discussione.
Il titolo del numero 30 della collana Workshop prende spunto da una dichiarazione della scrittrice invisibile: «Tra il libro che va in stampa e il libro che i lettori acquistano c’è sempre un terzo libro, un libro dove accanto alle frasi scritte ci sono quelle che abbiamo immaginato di scrivere, accanto alle frasi che i lettori leggono ci sono le frasi che hanno immaginato di leggere» (Elena Ferrante Il libro di nessuno, 2005). Il saggio di Scarinci finisce infatti così, con queste parole: «Qui finisce il libro, ma non finisce qui…» lasciando una riga tratteggiata a disposizione di chi lo ha letto e vuole continuare a scrivere le sue riflessioni.
Tra i romanzi di Ferrante la saga di L’amica geniale, in particolare, è stato per noi che l’abbiamo incontrato trasmissione diffusa della cultura di genere, attraverso la narrazione dell’amicizia tra due persone che raccontano e interpretano finalmente con voce e sguardo di donna la loro vita e le loro scelte, innamorate l’una del cervello dell’altra, condizionate dalla situazione sociale di provenienza e dall’accesso all’istruzione e alla cultura. Ad una, l’omonima dell’autrice, Elena, in perenne crisi identitaria, scuola e cultura saranno consentite, all’altra, ribelle alle convenzioni sociali e al potere maschile, vietate. È indubbio che «Il rapporto più intenso, più duraturo, più felice e più devastante risulti essere quello tra Lila e Lena. Quel rapporto dura, mentre i rapporti con gli uomini nascono, crescono e deperiscono».
Più volte ci è capitato di fermarci a riflettere su certe affermazioni e reazioni delle protagoniste dei romanzi di Ferrante, anche dei primi tre che, come suggerisce Scarinci, si differenziano in parte dagli ultimi. Spesse volte si è avuta la tentazione di approfondire e fissare con lo scritto alcuni spunti e richiami di memoria che affioravano nella nostra mente, a proposito dei comportamenti delle nostre madri, di noi figlie, di alcune figure maschili di volta in volta prepotenti, sleali, oppure dolci e quasi sottomesse. Molti pensieri sono scaturiti in noi come corollari di quelli espressi dall’autrice invisibile, proprio come suggeriscono il titolo e le riflessioni di Viviana Scarinci, il cui saggio è un’indispensabile guida alla lettura consapevole dei romanzi, dei saggi e degli articoli di Ferrante.

Pubblicità