“Ho voluto illuminarmi con la luce della mia carenza di luce” scrive Alejandra Pizarnik (1936-72) tradotta da Silvia Lavina, in un contributo pubblicato da Anterem 97 nel 2018 e ora riproposto nel tomo immacolato che Anterem edizioni pubblica per festeggiare il numero 100 della rivista: 372 pagine, 175 poete e poeti di ogni lingua e di ogni parte del mondo, in ordine cronologico per anno di nascita, dal 497 a.C. al 1987. Grande importanza alla traduzione dei testi affidata, come è prassi per quel che concerne le scelte redazionali di Anterem, spesso a poete e poeti italiani che sono anche traduttrici e traduttori di rilievo.
Non vi nascondo che sfogliando il volume e soffermandomi, inevitabilmente per me su Pizarnik, quelli illuminarsi della propria carenza di luce mi abbia riferito molto del senso e dell’importanza che ha, proprio ora, un’iniziativa editoriale riepilogativa di così ampio respiro. In un passaggio dell’introduzione all’opera infatti Flavio Ermini descrive, parlando di poesia, una circostanza che appartiene più che in passato ai nostri giorni, ai giorni di tutti, una circostanza che ci accomuna in una carenza che in poesia però è una condizione vitale e ineludibile a prescindere dai contesti e dalle epoche:
“Noi viviamo come sonnambuli in mezzo alle cose. Perdiamo il terreno sotto i piedi e sprofondiamo nel infondato. Abbiamo smarrito ogni via, siamo finiti nell’assenza di vie, nell’aporia. Come far coesistere due mondi inconciliabili? Come far accadere sulla stessa pagina la differenza che li separa?”
L’aporia è una cosa fantastica a saperla guardare senza spaventarsi. Per usare un termine che va di moda è la cosa più inclusiva che c’è. Tanto per cominciare il dizionario ci informa che un sostantivo e questo ci mette un minimo al riparo dall’ostilità simbolica che deriva dalla complessità metafisica del suo significato. Non come termine filosofico ma in riferimento al mondo reale, l’aporia è anche definita come un problema le cui possibilità di soluzione risultano annullate in partenza dalla contraddizione. Come se, fuori dalla manualistica, esistesse qualche problema che in ogni caso non fosse esposto a una contraddizione di un qualche ordine a moltiplicarlo più che a risolverlo. Come se dirimere una questione problematica significasse che la forza oggettiva delle cose, di cui nessuno può sapere fino in fondo i risvolti e il mistero, si possa sottomettere a una qualche prassi con cui ci hanno insegnato a risolvere i problemi filosofici e materiali in anni non pandemici.
La poesia per chi la conosce, e non è detto che la scriva, è inesorabile nell’aporia che la espone, come la primavera di quella vecchia canzone dei Banco. Illustra il corpo eversivo della parola. Ermini dice che la poesia dissolve ogni classificazione categoriale, scomponendo i collegamenti legislativi imposti socialmente e culturalmente, prescrive regole contro la grammatica e allarga il campo semantico di ogni segno fino a comprendere significati opposti. Aggiungerei: fino a farsi “vissuto” sciolto anche dall’atto di scrivere poesia.

Consistere in due o più mondi inconciliabili è un fatto. Ermini e la sua redazione si sono dedicati infaticabilmente a una ricerca entro questa molteplicità, suggerendo ad oggi e per domani, che il buio nel cuore della notte di un inverno come questo, non sta, come un’equazione matematica, alle strade diurne soltanto per via di una carenza di luce.
Ecco perché un libro come il numero 100 di Anterem introdotto da Flavio Ermini è quello che vi serve di leggere ora, che siate o non siate poeti.
Direttore di Anterem: Flavio Ermini. Redattori: Giorgio Bonacini, Laura Caccia, Davide Campi, Mara Cini, Rosa Pierno, Ranieri Teti.
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