Ricevo. Insorte di Anna Maria Curci

Qualche tempo fa scrivevo su tre poesie inedite che allora avevo ricevuto da Anna Maria Curci una riflessione sulla parola distopia e sul sentimento della storia. Cos’è il sentimento della storia? In quale misura la sua essenziale soggettività agisce sul presente? Cosa dimostra nei vissuti quotidiani anche di chi non si accorge delle conseguenze della capziosa presenza di quel sentimento, nelle proprie azioni, nei propri pensieri? E nel migliore dei casi, una volta liberato dalla molta enfasi che lo caratterizza, il sentimento della storia come può agire su una lettura politica del presente? Credo che l’impegno civile nell’approccio di Curci alla poesia, alla traduzione e alla critica letteraria, in questo suo ultimo libro, sia arrivato a una necessaria precisazione soggettiva e sensibile del binomio storia individuale/storia collettiva su cui Curci lavora da sempre in ognuna delle sue attività culturali. Scrivevo su quelle sue tre poesie allora inedite: “Ma quale può essere un metodo attraverso il quale l’immaginazione di una narratrice, o in questo caso di una poeta e traduttrice formula una realtà fittizia del passato, secondo la logica di una previsione in merito a figure mitologiche che sappiamo avere già avuto il proprio scenario in un altrove tutt’altro che presente? Una realtà postuma di cui in senso lato siamo comunque le eredi culturali ma di cui la poeta ci fa pervenire notizia attraverso un’indagine che rende il perpetrarsi dell’originario in uno spazio tempo molto ridotto ma presente all’oggi”. Uno spazio tempo ridotto ma focalizzato e vivibile nel presente agisce su un’eredità multiforme e riformulandola fa accedere lettrici e lettori in un tempo poetico e narrativo che, se la magia del linguaggio riesce, è sempre un flusso libero e bifronte, in cui passato e futuro vivono una contemporaneità tutta loro diventando ugualmente aperti al possibile. Oggi quei tre inediti Psyche, Creonte e Elce che leggiamo in apertura del libro Insorte (Il Convivio editore, settembre 2022) danno l’abbrivio a una precisazione necessaria a chi legge Curci come si leggono autrici capaci di avere questa somma libertà, scrivendo, e mostrandola possibile.

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Palazzi che parlano di donne e di libri

Agosto, Roma centro storico. Tra librerie che aprono e chiudono e palazzi parlanti si approda a #AnneCarson e #PilarQuintana grazie alla rinascita de #LaTartaruga a cura di #ClaudiaDurastanti. Nonché si accenna a #AnnaBanti e #MariaBellonci, a come il #romanzostorico scritto da donne abbia colto quella faccia meno frequentata del #barocco su cui #ArtemisiaGentileschi aveva puntato il sentimento cocente e l’occhio ardito prima di quel gran maestro che fu suo padre.

Il nuovo corso de La Tartaruga, la casa editrice fondata nel 1975 da #LauraLepetit a cura di Claudia Durastanti bisognava inaugurarlo con il primo e secondo acquisto. Come privarsi de “La bellezza del marito – Un saggio romanzato in 29 tanghi” di Anne Carson.

Che questa tra poesia e saggistica è una lezione ineludibile per chi scrive. Un’indicazione graziosamente donata da Carson, quella di aggirare il genere nell’unico modo che scardina false credenze e posture soltanto elusive: affrontando amorosamente il possibile che c’è nel discorso infinito secondo differenza e identità.

Sul progetto editoriale della nuova Tartaruga Durastanti ha detto “l’idea è pubblicare quattro o cinque titoli l’anno, dando ampio spazio a più forme: un testo di fiction (romanzi o racconti), uno di non fiction, un ibrido o anomalo, un ripescaggio e sempre una raccolta di poesie” Durastanti si è espressa anche sul dibattito in corso nell’universo femminista, sulle autrici che vorrebbe pubblicare e su quello che rappresenta per lei il marchio che l’è stato affidato: “Se c’è qualcosa che vorrei preservare dell’esperienza di Lepetit è la genialità di essere arrivata nelle case di donne come mia madre, dove ho visto i miei primi libri della Tartaruga da bambina”. E ti pare che dopo aver letto così non mi compravo pure “La cagna” di Pilar Quintana



Come tante i libri de La Tartaruga lo so quello che sono significati per imparare non dico a scrivere ma a dire l’altrimenti, nei tempi in cui l’altrimenti detto e scritto significava neanche l’eresia ma lettera morta come quelle che scriveva Emily a quel mondo che non le avrebbe mai risposto in tempo. Allora in un sabato incandescente mi sono ritrovata tra le mani La tartaruga di Anne Carson passando fugacemente alla libreria Nuovo Spazio Sette, inaugurata da meno di tre mesi mi dicono i gentilissimi dello staff

“Aprire uno spazio significa farci entrare dentro la città che gira intorno. Le voci, gli odori, le luci…”. Nel centro storico di Roma, in zona Largo Argentina, all’interno dello storico palazzo rinascimentale Cavallerini Lazzaroni, è stata inaugurata Spazio Sette Libreria (nell’orbita di #Ubik), che prende il posto di un negozio di design – I particolari

Poco distante la rassicurante #Feltrinelli Torre Argentina – che, Feltrinelli, spero non chiudiate mai visto la sorte tristissima di Feltrinelli di Piazza Colonna con cui ci avete orbati noi lettrici e lettori di Roma nord. Sono passata alla Spazio Sette un po’ di fretta (ma tornerò) perché aspettavo il momento clou della mia giornata, un momento lungamente desiderato, cercato infine e avuto: la visita al palazzo parlante: galleria e piano nobile di #PalazzoSpada. In effetti mi aspettavo che il #ConsigliodiStato avesse ambientazione molto barocca ma quello che ho visto è andato ben oltre l’immaginario della cittadina italiana che sono.

Cercavo due cose andando a palazzo Spada: in galleria, Artemisia Gentileschi e suo padre Orazio Gentileschi, nella vividezza del #giallo che usarono solo a Roma. Anche perchè da lungo tempo sono sulle tracce del romanzo storico scritto da donne alla Anna Banti, alla Maria Bellonci, nonché quello scritto da alcune bravissime contemporanee di cui dirò più in là. L’altra cosa che cercavo attraverso la visita al piano nobile era di cogliere visivamente una location del tutto realistica che mi facesse inquadrare nel mio immaginario la Roma che si stava controriformando attraverso l’avvicendamento nelle architetture, nelle committenze e nelle scelte d’acquisto dei grandi collezionisti cattolici dell’epoca. Palazzo Spada faceva al caso mio, uno dei palazzi più belli, e un po’ defilato della Roma rinascimentale che tra Cinquecento e Seicento ha dato campo al mecenatismo di due cardinali, i quali per una volta nell’avvicendarsi non hanno cancellato le scelte di gusto del predecessore lasciando leggibile un passaggio culturale e artistico determinato soprattutto dalle politiche della Chiesa del tempo. Un passaggio della rappresentazione artistica tra il mito greco latino e la religione cristiana sempre sul filo di essere accusato di eresia come l’autentico scouting di talenti inevitabilmente vuole in tutte le epoche. Coltissimi come non ce n’è più, ricchi in modo indicibile e spregiudicati il cardinale #GirolamoCapodiferro e il cardinale #BernardinoSpada hanno creato un lascito che da solo vale infinite letture artistiche, allegoriche, simboliche, storiche e letterarie di quello che il palazzo parlante è, cioè a Roma tra i testimoni più eloquenti di uno snodo fondativo della storia europea. Insomma una giornata memorabile peccato che mi hanno fatto una multa per come avevo abbandonato l’auto in mezzo al deserto cittadino. Hai ragione #ComunediRoma, nonostante tutta la spazzatura disseminata lungo il cammino, troppa fu la prescia che mi spinse verso tanto splendore.

Poveri uomini, anche loro: travagliati di arroganza e di autorità costretti, da millenni a comandare e a cogliere funghi velenosi, queste donne che fingono di dormire al loro fianco e stringono tra le ciglia seriche al sommo della guancia vellutata, recriminazioni, voglie nascoste, segreti progetti. Un senso di indulgenza diffusa, allegra come un volo, la faceva, nel sonno, sorridere. Nel sonno il sorriso è quasi difficile come il pianto e bisogna liberarsene. “Ma io dipingo” scopre Artemisia, risvegliandosi: ed è salvata pg. 53