
10 dicembre alle 17 Più libri più liberi con Silvia Comoglio e Anterem

vivianascarinci@gmail.com
Dal mese di settembre attiverò la mia Newsletter. Riporterà aggiornamenti e materiali pubblicati su questo sito e altrove ma anche contenuti inediti dedicati.
NINA nasce per rilanciare parte del materiale audio prodotto dalla ricerca SIL e per presentare contenuti nuovi implementando l’attitudine alla comunicazione che ha sempre contraddistinto il lavoro di ricerca della Società Italiana delle Letterate.
Dopo mesi di progettazione sono molto felice di annunciare la pubblicazione della prima puntata di NINA il podcast della Società Italiana delle Letterate che ho ideato e organizzato insieme a Anna Toscano. Ogni 10 del mese pubblicheremo una puntata nuova su un sempre maggiore numero di piattaforme podcast a partire da Spotify e Audible di Amazon e altre piattaforme in cui l’ascolto è completamente libero da abbonamenti vincolanti. Il mio interesse, anche tecnico per il formato podcast è nato tre anni fa attraverso alcuni audio diffusi su Diaria Blog e non si è mai sopito. Se l’ho poco praticato rispetto a quanto avrei voluto è stato solo per mancanza del tempo necessario che serve a una cura adeguata a tutti gli aspetti tecnici, insieme a quelli contenutistici necessaria a una produzione qualitativamente fruibile e tematicamente interessante degli audio proposti. Quando ci siamo trovate con Anna Toscano insieme nel nuovo direttivo SIL a avere lo stesso tipo di interesse (Anna per la SIL si occupa dell’ufficio stampa e social, io della gestione del sito) per questa forma di comunicazione, abbiamo immaginato un podcast per la Società delle Letterate attraverso un progetto che è stato accolto dalle colleghe del direttivo con grande entusiasmo perciò qualche mese fa ci siamo messe al lavoro. L’idea di NINA nasce con l’obiettivo di rilanciare parte del materiale audio pregresso prodotto dalla ricerca SIL e di presentarne del nuovo implementando l’attitudine alla comunicazione che la Società delle Letterate ha sempre avuto nell’ambito di una prospettiva futura tanto prossima da essere già presente. Questo non solo per aggiornare SIL con i tempi ma soprattutto per individuare una forma di comunicazione più aderente al modo di essere SIL, stando più vicine alle proprie socie e così potenzialmente incontrarne altre. NINA quindi attraverso questo media del tutto nuovo per SIL che è il podcast sarà un contenitore e un luogo di suoni, parole e silenzi in cui ascoltare le nostre voci. Ascoltando Nina troverete interviste, letture, dialoghi, poesie, canzoni, dibattiti tutto attraverso la lente del femminismo.
Il primo podcast che potete ascoltare si intitola Passaggi metamorfici della poesia e riguarda l’intervento di Chiara Zamboni, introdotto da Elvira Federici (presidente SIL) che ha avuto luogo nell’ambito del convegno Ecopoetiche Ecopolitiche. Poesia come cura del mondo che si è tenuto nel mese di marzo 2022 presso la Biblioteca Consorziale di Viterbo (video integrale del convegno qui, qui e qui) . Il podcast del 10 luglio sarà una mia intervista a Chiara Zamboni sulla sua ricerca e sul libro Sentire e scrivere la natura
La musica: pochi secondi di studio di un duetto di Béla Bartók suonato dalle violiniste Daniela Santi e Sara Michieletto. L’immagine è di Anna Toscano.
Chiara Zamboni insegna Filosofia teoretica all’Università degli Studi di Verona. Nel 1984 ha fondato assieme ad altre (Luisa Muraro, Adriana Cavarero, Wanda Tommasi ecc) la comunità di filosofia femminile “Diotima”, all’università di Verona. L’impianto della ricerca filosofica si basa su una teoria della differenza sessuale, assunta come significante e non come significato, cioè come orientamento ermeneutico dei segni della realtà, come guida ad atti interpretativi del tessuto del mondo. La sua riflessione su linguaggio, basata sulla relazione di fiducia che abbiamo con la terra, fiducia che si sottrae al dispositivo soggetto oggetto, evoca fin nella sua scrittura filosofica, quell’attenzione poetica che ci consente di vivere la realtà “nutrendola creativamente di parole”. Tra le sue pubblicazioni: Parole non consumate. Donne e uomini nel linguaggio (2001); Pensare in presenza. Conversazioni, luoghi, improvvisazioni (2009), Immaginazione e politica. La rischiosa vicinanza tra reale e irreale (2009) La carta coperta. L’inconscio nelle pratiche femministe (2019) e Sentire e scrivere la natura (2020)
Qualche mese fa questo spazio del Convegno SIL Ecopoetiche Ecopolitiche, poesia come cura del mondo doveva essere riservato a un dialogo che si sarebbe riferito alla traduzione italiana di Zong! Come narrato all’autrice da Setaey Adamu Boateng di Marlene NourbeSe Philip, cui avrebbero dovuto prendere parte la traduttrice italiana Renata Morresi e l’editrice Mariangela Guatteri. Poi questo spazio di dialogo sarebbe dovuto essere riservato alla poeta e critica letteraria Bianca Battilocchi, infine al mio fianco oggi ci sarebbe dovuta essere la poeta Lidia Riviello ma come vedete non c’è, né lei né le altre persone che ho nominate. Perciò vi parlerò in questi pochi minuti sostituitivi di quello che avrebbe potuto essere, di alcune suggestioni che mi hanno accompagnato in questi mesi.
La prima suggestione che vi vorrei offrire mi è arrivata da un recente intervento di Roberta Mazzanti nell’ambito dell’incontro che ha avuto luogo meno di un mese fa presso il Giardino dei ciliegi di Firenze intitolato Incontrarsi ai crocevia. Eredità plurali di Liana Borghi. Mazzanti parlando di uno degli innumerevoli aspetti della ricerca e delle pratiche di Liana Borghi definisce la poesia un disegnare la mappa dei fallimenti, inserendo questa definizione tuttavia all’interno di un’investigazione fervidamente attiva e ambivalente (in termini di fiducia nel successo dell’impresa) in merito a quale sia il potere effettivo del linguaggio letterario nel suo descrivere, incidere, e cambiare la realtà.
Questa focalizazzione così precisa e sintetica mi ha colpito proprio perché evidenziava a mio avviso un legame forte tra i lavori che in parte questo convegno sulla poesia come cura, si è riproposto di fare e l’essenza per così dire poetica della pratica di Liana Borghi, per quel pochissimo che ho potuto conoscere in prima persona.
L’altra madrina ideale che nominava Elvira Federici in apertura che ho richiamato dalle pagine di Leggendaria 151 in occasione di un articolo che si riferiva a questa nostra due giorni così attesa, è Lidia Curti che attraverso l’ultimo libro Femminismi futuri (su questo blog ne ho parlato qui ) a sua cura e a cura di Marina Vitale, ha profilato un prospetto vastissimo in cui afrofemminismo, politiche femministe decoloniali, miti e figurazioni future hanno saputo integrarsi perfettamente con quello che Curti indica come un confronto con l’alterita’ da praticare attraverso un’estetica del discontinuo, dell’interruzione, del disordine, dell’asimmetrico, come in poesia del resto.
Quale introduzione può essere migliore a un incontro in cui si vuole parlare di ecofemminismo attraverso il linguaggio della poesia, in un momento storico cui voler essere comunque contemporanee senza sottrarsi alla nostra responsabilità di poete, di femministe, artiste, studiose senza ognuna di noi rinunciare alla propria agenda, come indicava Anna Maria Crispino ieri. Quale se non quella riflessione che richiama da un lato lo stare con tutto quello che anche i workshop di questo convegno hanno indagato in termini di cura: stare con il fallimento, la cura, la lingua madre e la lingua dell’altra, la ferita, ma anche con tutta la carica trasformativa e vitalistica di cui il linguaggio poetico è portatore.
Secondo una definizione abbastanza diffusa ormai l’ecofemminismo riafferma il mondo nella sua complessità e nello stesso tempo propone un impegno e una sintonizzazione con un mondo originario, un mondo dinamico e ricco, proprio perché concepito, in una prospettiva anche storica dentro un continuum di relazioni tra umani nelle loro diversità e non umani portatori tra loro e a loro volta di diversità per niente scontate. E’ tramite questo modo per così dire ecologico che il linguaggio poetico parte alla volta di una indagine che si insinua all’interno dell’habitat.
In questa definizione di habitat si può trovare un orientamento volto a una coabitazione dell’essere poeta e femminista dentro un linguaggio/casa in cui l’ambivalenza si fa indagine plausibile molto più che altrove. Così come nell’udire la definizione di poesia come mappa dei fallimenti, trovo molta più speranza che in ingannevoli rassicurazioni di successo o di possibile e illusorio raggiungimento di un qualche obiettivo in termini di una definizione provvisoria ma accettabile della realtà che ci circonda.
Un certo modo politico di intendere l’ecopoesia si misura con il potere che il linguaggio letterario ha di muovere da tutt’altra unità di misura stabilita. Quella della parola poetica ecologica ha come unità di misura un elemento che segna la sua differenza fondativa: l’ecosistema, come alcune e alcuni teorici dell’ecofemminismo hanno asserito. L’ecosistema è l’unità di misura della sopravvivenza come elemento che mette in relazione la percezione della nostra storia di umani, le pratiche, parole, traduzioni resistenti materialmente opponibili a qualsiasi potere e prevaricazione. La poesia dal canto suo segna, può segnare, un’estetica di quella misura che abbiamo chiamato ecosistema.
Questo frammento di discorso contrae un debito importante con il pensiero di Nasrullah Mambrol e getta idealmente le basi di uno svolgimento più articolato in cui storia, poesia, ambiente, relazioni quotidiane tra individui e degli individui con la natura si articolano e vengono comunicati globalmente attraverso il così detto landscape of fear, il paesaggio della paura, teorizzato da Peter Turchin, termine che a sua volta Turchin prende in prestito dal mondo animale come strumento di analisi sociale (e poetico/narrativa per quello che mi riguarda) attraverso il significato ecologico e di conservazione della paura. Sono stata messa sull’avviso di questa lettura relativa alla paura e al fallimento storico per così dire della lucidità, anche da una delle newsletter di MEDUSA in cui citando Turchin relativamente alle conseguenze delle guerre e carestie del Basso Medioevo, si tentava di dare una lettura ecologica, anche delle conseguenze storiche, sociali e ambientali degli stati d’animo per così dire attanagliati dall’idea della morte e dal “concetto” di lutto.
Care amiche e amici, domenica 6 marzo alle 17 avrà luogo un evento molto speciale su Elena Ferrante, la traduzione in lingua tedesca, le fiction tratte dai romanzi di questa autrice e il metodo di indagine che ho dedicato alla scrittura di Ferrante attraverso i miei libri in italiano Il libro di tutti e di nessuno. Elena Ferrante un ritratto delle italiane del XX secolo e tedesco Neapolitanische Puppen. Ein Essay über die Welt von Elena Ferrante. L’incontro che avverrà esclusivamente dal vivo, si terrà a Roma a cura di Anna Maria Curci presso il Club Live Pentatonic.
L’evento prevede di essere seguito esclusivamente dal vivo. Ingresso con tessera ARCI 2021-2022; è possibile tesserarsi in sede. Prenotazione obbligatoria (+39 3519674290). Nel rispetto delle normative vigenti, potrà accedere al locale chi è in possesso della certificazione verde rafforzata COVID-19.
1 Ecologia letteraria dell’immaginazione senza corpo
2 Elena Ferrante dall’invisibilità all’essere vista ovvero la performance del corpo femminile mancante
3 Elena Ferrante una genealogia plurale femminile per le italiane
4 Elena Ferrante: l’istruzione, il linguaggio e le evidenze disturbanti
5 Emily Dickinson, Dante, Goethe e Elena Ferrante
Il 2021 è stato un anno che ha visto il protrarsi dell’incertezza dovuta alla pandemia ma anche la centralità della crisi climatica e ambientale nell’ambito del discorso pubblico. L’anno passato è stato segnato inoltre dalla scomparsa di Lidia Curti e Liana Borghi, due figure di grande rilievo verso il pensiero delle quali la Società delle Letterate e il femminismo italiano in genere hanno contratto un debito importante.
Il convegno Ecopoetiche-Ecopolitiche. La poesia come cura del mondo si propone di recepire e rilanciare una parte del lascito di queste due maestre focalizzando alcuni temi del femminismo cari alla loro ricerca, attraverso l’ottica della poesia.
Con l’opera di Elena Ferrante è il racconto della vita psichica delle donne che entra nella storia del XX secolo, sulla base di come questa vita è emersa al dicibile attraverso la pluralità di analisi, studi e vissuti intrapresi e trasmessi dalle donne per le donne.
L’incontro che la Casa della donna di Pisa organizza su Il libro di tutti e di nessuno. Elena Ferrante un ritratto delle italiane del XX secolo potrà essere seguito in diretta attraverso la pagina facebook https://www.facebook.com/casa.delladonna e in presenza prenotandosi a questa email segreteria@casadelladonnapisa.it
@studiose/studiosi di Elena Ferrante qui trovate una delle bibliografie più complete che si possano avere in rete per lo studio dell’opera della nostra autrice.
Perché i romanzi di Ferrante si possono dire politici? Perché Ferrante è una scrittrice politica nonostante non abbia mai asserito pubblicamente di aderire a una qualche militanza? Argomenti come la vergogna per le proprie origini, il discusso uso del dialetto individuato alla stregua di uno stigma sociale, il focus sulla figura ambivalente delle madri, sull’istruzione e le strumentalizzazioni dei titoli di studio. I romanzi di Ferrante in che modo hanno contribuito all’emersione di un rimosso collettivo e individuale che è insito nelle dinamiche sociali? E ancora Il significato delle parole frantumaglia e smarginatura: come si differenziano tra loro? Come è stato possibile che si siano rese riconoscibili nell’esperienza delle donne di tutto il mondo? E gli uomini sono immuni da questi sintomi? Ferrante vista e riletta cinematograficamente da registe e registi di film e fiction è la stessa Ferrante dei romanzi che noi amiamo?
Venerdì 10 dicembre sarò finalmente in presenza a Pisa per parlare del Libro di tutti e di nessuno. Elena Ferrante un ritratto delle italiane del XX secolo. Con Irene Bianchi (brillante studiosa di Elena Ferrante attraverso una tesi di laurea dedicata) parleremo dei romanzi da L’amore molesto a La vita bugiarda degli adulti passando per le altre scritture ferrantiane: gli articoli per il Guardian raccolti ne L’invenzione occasionale, le interviste collezionate ne La frantumaglia per arrivare al libro appena uscito I margini e il dettato con il quale Ferrante affronta la scrittura saggistica offrendo alle sue lettrici e lettori un fascinoso report, dubbi e dolori compresi, di una vita dedicata alla letteratura e al romanzo.
Grazie infinite alle amiche della casa della donna di Pisa e al loro impegno instancabile che rende possibili incontri come questo.
Ieri si è tenuto presso la Biblioteca Elio Pagliarani di Roma un incontro importante per la poesia. In un primo momento l’idea prospettata da Gabriella Musetti confesso mi aveva fatto tremare i polsi. Di primo acchito la creazione per la Società Italiana delle Letterate di un repertorio critico che illustrasse il lavoro di poete italiane e italofone, viventi, nate prima del 1970 può sembrare un’impresa tanto necessaria quanto impossibile.
Il primo motivo dei miei tremori, seguito però da un fremito di gioia, ha riguardato l’ampiezza che Musetti si è riproposta di coprire in termini di ricerca, attraverso un progetto editoriale strutturato con una profonda consapevolezza relativa alla sua esperienza di poeta, editrice e femminista posta al servizio di un repertorio critico intitolato suggestivamente Fuori dal canone. Per una storia della poesia italiana delle donne.
È infatti di questi giorni la presentazione al circolo della stampa di Trieste dell’associazione di promozione sociale Vita Activa Nuova che vede Gabriella Musetti tra le fondatrici. Vita Activa Nuova è dunque anche la casa editrice che si propone in prospettiva la pubblicazione del repertorio SIL delle poete italiane.
Il secondo motivo di tremore e poi di entusiasmo incondizionato, riguarda il fatto che si tratta di un progetto che per come è stato concepito insiste anche metodicamente su una difficoltà costante e comune. Una difficoltà spesso insormontabile cioè quella che affrontano le scrittrici, le poete e le critiche letterarie che si propongono di ricercare e di scrivere fuori dal confine del canone e di conseguenza fuori dalle categorie per così dire accreditate da un sistema di pensiero unico.
Del resto il discorso sulle problematiche del canone era stato precocemente declinato in termini politici e critici dalla SIL già nel 2015, attraverso una pubblicazione fondamentale che ha aperto la strada a molti discorsi pubblici sui limiti intollerabili che il concetto di canone impone che per fortuna si stanno tenendo oggi.
Gabriella Musetti in estrema sintesi a noi redattrici reclutate nel direttivo della Società delle Letterate tra coloro che si occupano a vario titolo di poesia (Elvira Federici, Loredana Magazzeni, Anna Toscano) ha chiesto di agire nella ricerca delle poete e delle curatrici/curatori più appropriate/i sulla base di un principio di accreditamento incentrato su un panorama molto più ampio rispetto a quello ristretto e ufficializzato da un canone letterario come minimo latitante quando funge da osservatorio sul lavoro delle poete.
Ho immaginato perciò che l’azione più utile che potessi intraprendere in prima battuta fosse quella di occuparmi il meno possibile, in veste di critica, delle poete che intendevo proporre all’attenzione della redazione del repertorio.
Per inciso l’unica poeta di cui ho scelto di occuparmi come critica in collaborazione con Luca Benassi è Lucianna Argentino Questo perché a mio avviso un repertorio critico che si configura sulla base di una tale vastità di vedute richiede di avvalersi il più possibile dell’analisi di critiche e critici specialiste/i delle soggettività poetiche che si considera di includere.
Pertanto ho iniziato il mio lavoro redazionale con la consultazione di quelle organizzazioni del mondo dell’editoria e di quelle realtà letterarie con le quali fossi entrata da tempo in contatto diretto attraverso la mia attività di poeta e critica di poesia. Si è trattato per me di una vera e propria consultazione messa in atto attraverso una rete relazionale formata da quelle entità che negli anni mi hanno portato a constatare personalmente quanto agissero con presupposti affini a quelli che il progetto del repertorio si propone in termini di indipendenza.
Una di queste è la redazione delle edizioni Anterem che bandisce da trentasei anni il Premio Lorenzo Montano. La loro attenzione critica di amplissima portata è testimoniata dal modo composito in cui la redazione si è strutturata negli anni e ha agito nell’analisi dei lavori poetici proposti loro esclusivamente sul vivo dei testi. Questo lungo corso di attenzione e indipendenza è evidente da quest’anno in particolare dalla netta prevalenza della pubblicazione di voci poetiche femminili di estremo interesse su cui la casa editrice veronese ha puntato.
Per quanto riguarda la funzione di osservatorio attraverso il web ho interagito con quelli che sono tra i punti di riferimento più accreditati soprattutto dalla qualità della loro ricerca e promozione nella poesia contemporanea. Uno di questi è il sito Poetarum Silva con Anna Maria Curci caporedattrice insieme a Fabio Michieli. Curci poeta, studiosa e traduttrice è, tra le altre, coinvolta nel repertorio come poeta e e come critica nell’analisi delle poete da includere.
Un altro di questi siti è Slowforward molto noto per la proposta di realtà poetiche tra le più attuali del panorama nazionale e internazionale. Marco Giovenale, poeta e critico, il creatore e promotore del sito è tra i curatori del repertorio attraverso l’analisi critica del profilo poetico di Mariangela Guatteri.
Il repertorio dunque riguarda il lavoro di poete la cui ricerca è ancora in corso di svolgimento. Credo che anche questo sia un segnale politico molto forte che il repertorio voglia dare. Per concludere vorrei sottolineare come questo criterio che ho sommariamente illustrato è stato possibile grazie a una politica di compilazione precisamente scandita affidata alle scelte soggettive delle redattrici, tutte come già detto poete e critiche letterarie.
Questa precisazione si dimostra opportuna perché è stato chiaro fin da subito che un repertorio critico il quale si proponga un’indagine sul presente della poesia italiana delle donne, debba avvalersi dell’esperienza maturata da soggettività e organizzazioni che si sono prefissate come assunto, un lavoro del tutto indipendente sui fenomeni della contemporaneità poetica, con ciò individuando criteri inediti e pertinenti al vivo di quelle ricerche poetiche che sono in corso di svolgimento.
Giovedì 2 dicembre alle ore 21 presso la Biblioteca Pagliarani di Roma si svolgerà un incontro in presenza e in rete sul tema: “Fuori dal canone. Per una storia della poesia italiana delle donne”. Parteciperò all’incontro in qualità di direttivo SIL e redatrice del progetto editoriale con Elvira Federici, Loredana Magazzeni, Gabriella Musetti e Anna Toscano. Saremo in dialogo con Cetta Petrollo. Questo incontro intende fare il punto sul progetto di ricerca e compilazione del nuovo Repertorio delle poete contemporanee italiane e italofone avviato da questo Direttivo SIL nel corso dell’anno 2021, un progetto ideato da Gabriella Musetti. Altro argomento riguarderà il prossimo convegno SIL 2022 che si terrà a Viterbo dal 18 al 20 marzo, tema: Ecopoetiche, ecopolitiche. Chi volesse partecipare online può richiedere il link a societaletteratepoesia@gmail.com
PRIMO
Poco prima dell’estate la redazione di una rivista di critica e ricerca letteraria mi ha chiesto un contributo su un argomento che mi interessa molto, specie in questo momento che sto riflettendo in modo un po’ più accorto sulle mie scritture, quelle pubblicate, quelle ancora inedite e quella cui mi sto dedicando adesso, di altro genere rispetto ai miei lavori di poesia e saggistica. Frattanto la Casa delle donne di Pisa mi ha fatto sapere che sta organizzando un gruppo di riflessione legato alle opere di Elena Ferrante che si vorrebbe occupare di moderare la presentazione de Il libro di tutti e di nessuno (V. Scarinci, Il libro di tutti e di nessuno. Elena Ferrante, un ritratto delle italiane del XX secolo, Guidonia, Iacobelli Editore, 2020) a novembre finalmente in presenza a Pisa. La cosa mi ha fatto molto piacere, naturalmente. Ma anche mi ha fatto rendere conto come da quel mio saggio emergano questioni cruciali e elementi della mia ricerca personale su cui devo tornare. In effetti già quel quesito tardo primaverile, mi aveva colto sul vivo e mia ha accompagnato per un po’, risuonando in modo esponenziale proprio in questi giorni in cui tutto sembra si stia rimettendo in moto. Qualcosa ricominciando davvero daccapo, e qualcos’altro invece che riesce a trovare in modo stupefacente una continuità con pratiche annose e così pervicaci che neanche una pandemia in tutta evidenza è riuscita a disarcionare.
Perciò ho immaginato di portare, qui sul mio sito, il quaderno di lavoro che sto compilando in questi giorni e che vorrei idealmente condividere con chi ha voglia di leggere di Elena Ferrante ma certo non solo. Sarà un lavoro che pubblicherò qui in corso d’opera (con tutti i limiti del caso) per motivi precisi che spero saranno chiari a quelle e quelli che avranno la pazienza di leggere fino in fondo questa prima parte che funge anche da introduzione a questo quaderno di lavoro intitolato Quando un libro è di tutti e di nessuno.
Nello specifico vorrei sviluppare alcuni elementi che Il libro di tutti e di nessuno propone, perché mi paiono ora più che mai connessi a una riflessione sul presente che desidero condividere. Grazie quindi alla Casa delle donne di Pisa che mi sta dando un buon motivo per tornare a mettere a punto temi importanti per me. Ma anche grazie a quella rivista che chiedendomi un pezzo che rispondesse a una domanda che mi riguardava così da vicino, ha acceso una riflessione che tuttora mi anima e mi ispira.
Quella domanda, per come l’ho letta io, si può riassumere in questi termini: la realtà cui la scrittura si riferisce è sempre la stessa, anche se l’intento che la suscita, riguarda formati di scrittura differenti come narrativa, poesia, saggistica, giornalismo, storiografia? La realtà è la stessa, anche se il genere sessuale di chi scrive si esprime in termini centrali nell’economia di una scrittura che si riferisce alla realtà che è sotto gli occhi di tutti? Come accade ad esempio in Ferrante, nell’opera della quale la narrazione è apertamente condotta secondo una prospettiva di genere, e si alimenta dei temi di questa prospettiva. E noi lettrici e lettori contemporanei cosa dobbiamo pretendere da tutte queste forme di scrittura, affinché la realtà che ci illustrino non sia un diversivo, un inganno, un mero esercizio narcisista in cui chi scrive vuole esercitare soprattutto un potere che ha l’obiettivo di ottenere consenso?
Ricordo molto bene il giorno di parecchi anni fa in cui con la mia casa editrice tedesca abbiamo immaginato un titolo per il libro su Elena Ferrante che stavo pubblicando con loro e che poi sarebbe uscito in Germania nel 2018. Ricordo di aver chiesto, come chiesi poi alla mia casa editrice italiana, che il nome di Elena Ferrante non figurasse nel titolo ma rimanesse impigliato nel sottotitolo. Nel mio sentire ciò doveva significare che gli argomenti, la ricerca, le citazioni, un certo modo studiato di orientare l’illustrazione e la collocazione di quello che ho chiamato dispositivo Ferrante, significasse fin dalla prima occhiata alla copertina, un lavoro indipendente, indipendente anche da madrinaggi e equivoci sulla necessità di possibili accrediti.
Il mio obiettivo con la scrittura di quel libro non era usare il nome di Elena Ferrante ma era collocare quel dispositivo in una realtà italiana, per come la mia soggettività la percepiva, perciò dal mio punto di vista, una realtà di genere e poi globale, che fosse il meno possibile il frutto di una presa di posizione di un gruppo, di una condizione o professione, di una qualche mia appartenenza. In entrambi i libri, quello tedesco e quello italiano, esiste un capitolo dedicato al senso e ai motivi di questo titolo.
Nel rispetto di questa mia esplicita richiesta il libro tedesco si intitolò Bambole napoletane (V. Scarinci, Neapolitanische Puppen. Ein Essay über die Welt von Elena Ferrante (trad.Ingrid Ickler) Colonia, Launenweber, 2018) quello italiano Il libro di tutti e di nessuno cioè esattamente come avevo chiesto. Volli quel titolo perché riformulava un concetto importantissimo espresso da Elena Ferrante, uno di quelli che mi convinse su tutto quando anni prima che l’autrice raggiungesse la fama mondiale, ne avevo colto un’analogia profonda con il mio modo di intendere la scrittura
Tra il libro che va in stampa e il libro che i lettori acquistano c’è sempre un terzo libro, un libro dove accanto alle frasi scritte ci sono quelle che abbiamo immaginato di scrivere, accanto alle frasi che i lettori leggono ci sono le frasi che hanno immaginato di leggere. (E. Ferrante ‘Il libro di nessuno’ in La frantumaglia. Nuova edizione ampliata, Roma, Edizioni e/o 2016, p. 185)
Quel concetto è lo stesso che ha permesso a molte e molti che hanno lavorato sulla materia ferrantiana (ma anche a molte scritture che con Ferrante niente apparentemente hanno a che fare) di usare in modo più o meno dichiarato questo ormai ineludibile dispositivo che Elena Ferrante rappresenta. Ovunque, dopo Ferrante, si legge di amicizie femminili ambivalenti, di subalternità sociali, psicologiche e di genere, di madri e figlie che si odiano e si amano, di famiglie rese disfunzionali dalla troppa povertà, ricchezza o avidità.
Quello che veramente fa la cultura però, la cambia e la rende dialogante con il reale è quel terzo libro che Ferrante ha teorizzato in modo esplicito e diretto chiamandolo il libro di nessuno: quello che non è ciò che l’autrice ha scritto o quello che lettrici e lettori hanno letto, ma ciò che l’autrice in un regime di parità assoluta, ha immaginato che fosse reale, e reale si è dimostrato tanto per chi ha scritto quanto per chi ha letto, nei termini in cui l’immaginazione è stata capace di modificare la realtà.
È sotto gli occhi di tutti che questa operazione dell’immaginario è diventata più vera della realtà. È l’immaginazione che crea per così dire una relazione di tipo ecologico che attiene a ciò che rende vera la cultura, perché rende gemelle letteratura e natura, le iscrive in un divenire incessante che ha per motore il tempo per come è conchiuso nella capacità immaginativa dell’umano.
Non posso non pensare a questo proposito a uno dei libri più belli che ho letto quest’anno grazie a un suggerimento di Elvira Federici, Sentire e scrivere la natura di Chiara Zamboni ( C. Zamboni, Sentire e scrivere la natura, Milano, Mimesis, 2020). Tra le molte illuminazioni di cui sono debitrice a quel libro ce n’è stata una che mi ha rassicurata sul mio modo di procedere quando affronto la pagina. Un procedimento che ho sempre seguito istintivamente e che mi sono legittimata per analogia con un processo del tutto simile a quello che ha riguardato l’esistenza e il potere di quel terzo libro così lucidamente e precocemente inquadrato da Ferrante al punto di farne uno dei motori della sua poetica di poi. Zamboni scrive riferendosi a Ingeborg Bachmann (il tipo di legame di questa autrice con Ferrante è espresso in forma germinale ma esplicita ne Il libro di tutti e di nessuno quando parlo di trascendenza)
Si tratta del passaggio dalla realtà all’emergere del reale, carico di onirico. Dove, per realtà possiamo intendere ciò che rientra nel mondo dei fatti, mentre il reale intrattiene un rapporto con il visibile non visto (…) Occorre essere radicalmente scostati dalla finta armonizzazione della realtà, per cogliere la verità nella percezione stessa. (…) è necessaria una specie di attenzione fluttuante, di sentire tra conscio e inconscio, una sensibilità aperta a percepire la dimensione onirica della realtà. (…) La storia è dimensione verticale del percepire, che è però intrecciata con l’esperienza sognante di lande desertiche, di luoghi altri e lontani. La percezione ha una trama inconscia, onirica che ci fa cogliere, intensificando, l’essenza delle cose presenti. (p.19-20)
Del resto ogni scrittura degna di chiamarsi tale risponde a ciò cui si riferisce Bachmann: Di che cosa parlare? Al meglio di qualcosa di evidente (possiamo leggere questo preambolo in Christine Koschel e Inge von Wendenbaum, in I. Bachmann, Luogo eventuale, p. 71-72). Cioè parlare di quale reale se non quello evidentemente situato in una prospettiva riconoscibile, come ad esempio è il caso di Ferrante, e di altre e altri che per la propria scrittura hanno preferito un inquadramento di genere.
In ciò Zamboni, dal canto suo, riecheggia magistralmente proprio parlando di uno degli aspetti della differenza di genere sessuale nella scrittura: “Lo stile di scrittura segue dunque ciò che è evidente, attraverso il mostrare, l’indicare un fatto dopo l’altro. Si sottrae così a un discorso interpretativo, che cerchi un’interpretazione di accadimenti disturbanti” (p. 21). Lo fa Ferrante da sempre, ho tentato di farlo io seguendo l’insegnamento relativo al valore di quel terzo libro che non interpreta proprio nulla, che per dirsi non stabilisce gerarchie di riferimento, che non aderisce a linee di pensiero. Ma che si pianifica in termini di opera ricalcando l’andamento delle evidenze, la loro tempistica, le illustra ma non le spiega, perché occupandosi tanto del reale attraverso la propria scrittura, quanto del lavoro dell’altra/altro, un conto è intonarsi un conto è interpretare.
Operando in questo modo su una scrittura di cui non si è autrici, si tradisce l’opera? La si ruba un po’ a chi l’ha scritta? Penso di sì, ma questa scienza così alternativa è anche quella su cui si sono fondate e rese riconoscibili genealogie espressive oppresse e recluse. Per riuscire a cogliere i contorni di una soggettività che possa dire finalmente io, quando quell’io non è visibile al mondo, non e nominabile, è irriconoscibile anche a se stesso, l’unica possibilità è dirsi/indagarsi per differenza e analogia, rispecchiandosi con quanto è evidente e con chi è riuscito a esistere solo dicendosi. Questo Elena Ferrante, teorizzando la poetica del terzo libro, lo aveva intuito, lo ha detto e ne ha fatto romanzi.
Quando il linguaggio si intona, dice Zamboni, al movimento dell’infinito è inevitabile che vada da essere a essere. Ed è, penso, inevitabile che crei relazioni non preclusive che proliferano da quella letteratura che può intendersi una delle prime forme di ecologia che introduce a quella che ci serve di introiettare ora più che mai, cioè una materia che ha per oggetto le funzioni di relazione tra persone, organismi vegetali e animali e l’ambiente in cui tutto è immerso. Dove l’ago della bilancia è sicuramente la qualità della relazione.
Nel caso di Ferrante posso testimoniare che tutto ciò funziona, ha funzionato in termini globali perché ha creato una pletora (plètora significa in patologia vegetale, abbondanza anormale di succhi in una pianta) di lavori che ponendosi liberamente in dialogo con un’opera letteraria hanno davvero creato un altro ecosistema e hanno scardinato molte preclusioni relazionali, di genere, sociali e gerarchiche. E anche gli alti livelli raggiunti dal lavoro di alcune donne che se ne sono occupate, sono stati legittimati via via che il mondo legittimava l’opera di Ferrante. Livelli alti perché se da una parte quelle donne che li hanno raggiunti erano allenate a studiare e introiettare un modus operandi creativo e relazionale maschile molto preclusivo (dico maschile perché lo hanno inventato gli uomini ma lo praticano e lo subiscono la maggioranza delle persone) nel dispositivo Ferrante hanno potuto liberare quella loro scienza altra, una scienza legata al loro altro leggere. La scienza dell’intonarsi ai movimenti del reale e a tutto il reale che si è in grado di percepire, più che quella di attenersi alle indicazioni inevitabilmente autoritarie di un sapere prescrittivo che tende a una fissità pretestuosa e falsamente ieratica. La scienza di questo scrivere ricalca quello che Zamboni chiama un dire in fedeltà a ciò che sentiamo via via (p.31) restando in una relazione per così dire ecologica con un reale che è multiforme.
Esiste davvero quella differenza di genere, letterario e sessuale, che rende la scrittura diversamente esplorativa, pur trattando di una realtà necessariamente condivisa? Io penso di sì, ed è il motivo per cui sono femminista. Tutto quello che ho visto e letto fin qui, me lo conferma. Però ho anche altre domande senza risposta: pur vivendo una realtà che tende all’infinito, tanto quante sono imponderabili le sfumature della soggettività di ciascuno, di che cosa parliamo quando crediamo di dire la verità? Quando crediamo a qualcuno che dice di raccontarci la verità? L’indice di variabilità in cui è iscritto il senso di questa realtà cui tutte le scritture dovrebbero riferirsi quando si vogliono vere, quanto è dipendente dalla qualità del rapporto che emittente, cioè chi scrive, e ricevente, cioè chi legge, istaurano nel patto relazionale che ogni tipo di scrittura propone? A questo proposito si guardi il capitolo del Libro di tutti e di nessuno che intitolo Frantumata (p.109-112).
La poesia ad esempio vive, più di altre scritture, di una componente inconscia, che in qualche modo ne è la centralità e perciò si costituisce come una variabile decisiva in termini di comunicazione, una variabile imponderabile e questo bisogna accettarlo. Una scrittura saggistica alle parole dovrebbe imprimere forse una maggiore convinzione razionale se non altro perché il suo obiettivo è quello di cercare una forma di coerenza che sviluppi il discorso oltre un punto di partenza noto. Per non parlare della narrativa, luogo dell’incontro per eccellenza: se l’emittente e il ricevente si vogliono incontrare davvero dentro una storia inventata, se vogliono diventare davvero l’una/o lo specchio dell’altra/o, come in amore, ci vuole abbandono e spirito di carità, ci vuole reciprocità, e forse ci vuole anche di perdonare qualche bugia, altrimenti non funziona. Sul rapporto tra verità e bugie nell’opera di Elena Ferrante si guardi ne Il libro di tutti e di nessuno il capitolo che intitolo Gli adulti sono bugiardi? (p.16-21)
Sul funzionamento di una scrittura, ossia su quanto possa davvero essere in grado di illustrare la realtà materiale e simbolica del vivere, a me pare che pesino in senso negativo il travisamento di due fattori che mi sembrano onnipresenti oggi e mi schiacciano. Quello legato a un così detto uso del linguaggio politicamente corretto, e legato a un modus operandi politicamente molto connotato che genera codici linguistici rigidi, che a loro volta generano gruppi di appartenenza per nulla permeabili alla pluralità di linguaggi di cui chi lavora con la scrittura dovrebbe sempre considerare il grado di risonanza in termini reali e non solo ideali. E quello che accosta ogni genere di scrittura alle regole di uno storytelling volto al profitto, inteso come vendita, consenso, successo della propria scrittura pubblica, promozione e iconizzazione della propria immagine mediatica. Le derive dell’una si iscrivono nelle derive dell’altra: quando l’attivismo si fa opera artistico letteraria, può diventare un marchio che usa gli stessi metodi che combatte per vendersi al consenso e al mercato, cessando l’opera in questo modo di spendersi in quell’economia di relazione ecologica che contiene, quello che oggi chiamiamo presente, ma che esiste al mondo tale e quale da sempre.
Da persona che ora sta scrivendo un romanzo che si vorrebbe storico, sono obbligata a chiedermi quanta realtà può custodire e comunicare una scrittura che si mette alacremente in regola con l’istituzione dello storytelling, o un’altra che si fregia attraverso un’operazione creativa di sviluppare gli assunti impositivi e preclusivi che segnano confini oggettivamente invalicabili in merito al vero, minacciando con ciò ogni immaginazione che la possa accostare. Può un regolamento narrativo che vale per la pubblicità che ti deve far comprare, per la politica che deve procurare accoliti e produrre schieramenti, condivisioni, like, valere anche per una scrittura tesa esclusivamente sul filo di se stessa? E può valere anche per una scrittura che si riferisce al passato e che con ciò dovrebbe leggere in controluce tutti i documenti? Nessuno escluso, anche quelli seppelliti dal disinteresse per una questione in cui non vi si trovino politiche tramandabili ai posteri. Magari in favore di un’altra politica che è giunto il momento di trattare con tutti i riguardi per risarcirla e farla diventare anche lei storia con la S maiuscola. E questo a prescindere dalle verità possibili o certe, dalla realtà mutabile o immutabile che concerne una storia sepolta dal tempo o una presente oberata dalle infinite pretese di verità che spesso con l’autenticità letteraria c’entrano poco. Si veda a questo proposito il capitolo che ne Il libro di tutti e di nessuno intitolo Perché il romanzo di Elena Ferrante è politico (p.11-15) e per tutto il discorso di cui sopra il capitolo dell’edizione italiana che si intitola come il libro medesimo (p.22-28).
Continua
Ci siamo, l’11 settembre finalmente il primo importante appuntamento culturale dopo il tempo pandemico che è parso interminabile e incerto. Non che le incertezze siano finite o che la pandemia lo sia ma forse ci troviamo a una ripartenza un po’ più consapevole rispetto alle pratiche fin troppo abituali e inavvertite del tempo prepandemico.
Si tratta della giornata che la SIL dedica a Laudomia Bonanni a L’Aquila, la città in cui la scrittrice visse per metà della sua vita. L’incontro con il patrocinio del DSU si terrà presso l’Università degli studi dell’Aquila. Nel rispetto delle normative anticovid, lo spazio disponibile in sala è esaurito.
Sarà possibile seguire il seminario in diretta a partire dalle ore 9,30 collegandosi attraverso la pagina facebook della Società Italiana delle Letterate https://www.facebook.com/socletterate/.
Il video integrale del seminario sarà poi pubblicato sul canale YouTube della SIL . Qui la locandina e il programma dell’incontro. Per il pomeriggio dello stesso giorno è prevista una passeggiata letteraria nei luoghi menzionati e raccontati da Bonanni nelle sue opere.
L’occasione di questo incontro mi è particolarmente gradita. L’organizzazione tematica e logistica a cura di Maristella Lippolis (direttivo SIL) con Serena Guarracino (Università dell’Aquila e socia SIL) e Lucia Faienza (Università dell’Aquila) è di straordinaria accuratezza e interesse, perciò capace di dedicare alla memoria di Laudomia Bonanni una giornata indimenticabile e alla scrittura di questa autrice tutto il senso vitalistico e contemporaneo che la sua opera ancora racchiude.
Per quanto mi riguarda questo è il primo incontro in presenza a cui partecipo come direttivo SIL, e la possibilità di illustrare nell’ambito un mio breve contributo su Laudomia Bonanni mi riempie di entusiasmo. Su Laudomia Bonanni certamente tornerò. Con Paola Masino, Anna Banti, Alba de Céspedes, Goliarda Sapienza, Alice Ceresa (e altre italiane il cui nome è ancora sepolto o poco pronunciato) Bonanni è una delle scrittrici attraverso le quali può e deve essere ricostruita l’altra storia del nostro Paese, quella non solo letteraria, di cui secondo me in questo momento abbiamo bisogno un po’ tutte e tutti, almeno quelle e quelli di noi che cercano di guardare al futuro con un minimo di buona volontà.
Guarda anche: Il sito ufficiale Ladomia Bonanni, Materiali SIL su Laudomia Bonanni a cura di Maristella Lippolis
Il Direttivo SIL in carica ( Marta Cariello, Elvira Federici, Loredana Magazzeni, Gabriella Musetti, Donatella Saroli, Viviana Scarinci) sta lavorando dall’inizio del suo mandato alla costruzione di un evento che rilegga l’opera di Laudomia Bonanni. Già nel 2013, all’interno del Seminario nazionale SIL che si tenne all’Aquila Terra e parole: donne riscrivono paesaggi violati, fu organizzata una passeggiata letteraria dedicata alla scrittrice aquilana; l’iniziativa fu preparata da Maria Vittoria Tessitore, il cui intervento su Bonanni si può leggere nel volume Terra e Parole pubblicato sul sito SIL. La passeggiata si svolse in una città ancora profondamente segnata dal terremoto del 2009, con la maggior parte del centro storico chiuso alla circolazione. Oggi la città è rinata e i suoi storici palazzi risplendono più di prima. E anche per Laudomia Bonanni è arrivato il tempo di restituirle tutto lo spazio che merita la sua voce forte e unica nel panor ama letterario. Che questo tempo sia arrivato è dimostrato dalla nuova e per molti versi inaspettata attenzione da parte della critica, da riletture contemporanee da parte di giovani studiose e da nuove iniziative editoriali, come l’ultima in ordine di tempo della casa editrice Cliquot che ha ripubblicato il romanzo Il bambino di pietra . Leggi una recensione di Maristella Lippolis a riguardo.
Conducono Gilda Sciortino e Rita Barbera
Con Feminism 4, il Centro Studi Postcoloniali e di Genere – CSPG dell’Università L’Orientale di Napoli, Società Italiana delle Letterate e Iacobelli verrà trasmessa mercoledì 28 aprile alle 18 la presentazione di “Il libro di tutti e di nessuno. Elena Ferrante un ritratto delle italiane del XX secolo” di Viviana Scarinci (Iacobelli Editore). Con l’autrice intervengono Silvana Carotenuto e Tiziana de Rogatis.L’incontro sarà trasmesso in diretta attraverso questi link o potrà essere guardato in seguito
Questo di Viviana Scarinci è il terzo libro che l’autrice pubblica sul dispositivo Ferrante (Elena Ferrante, eBook doppiozero, 2014, Neapolitanische Puppen. Ein Essay über die Welt von Elena Ferrante, trad. Ingrid Ickler, LaunenWeber, 2018). In 42 brevi capitoli viene ricostruito tutto fin dall’inizio cioè da quel fatidico 1992 in cui uscì L’amore molesto. Utilizzando come cartina di tornasole le trame e i linguaggi di tutti i libri e della fiction di cui Elena Ferrante è autrice, Scarinci racconta la favola verissima dell’incredibile ascesa di una scrittrice italiana invisibile che oggi è diventata la nostra autrice più nota e riconosciuta al mondo.
Le strategie finzionali, la misurazione della scrittura di genere con le logiche del potere patriarcale, il femminismo della differenza, la strategia simbolica dell’invisibilità, lo storytelling calibrato e modernissimo ma anche l’amicizia femminile e l’ambivalenza relazionale, il matrimonio all’italiana, il sesso e l’amore negli anni post-traumatici del boom economico. E ancora i riferimenti e rispecchiamenti internazionali in cui Elena Ferrante inserisce in termini letterari, politici e storici i contenuti prettamente narrativi della sua opera. Infine ma ancora non è tutto, il classismo e i linguaggi contraddittori che ne sono espressione.
Silvana Carotenuto (socia SIL) direttrice del Centro Studi Postcoloniali e di Genere – CSPG dell’Università L’Orientale di Napoli, Tiziana de Rogatis (socia SIL), Università per Stranieri di Siena, capofila degli studi ferrantiani con Elena Ferrante. Parole Chiave edizioni e/o, 2018 e l’autrice Viviana Scarinci, direttivo SIL, saggista e poeta responsabile del progetto Contemporanea fondo librario.
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Il gioco del rispecchiamento letterario messo in campo da Viviana Scarinci è vario e complesso, ed ha le sue pagine più convincenti dove si riflette sui punti di contatto con l’ottica di Anna Maria Ortese. Titti Marrone
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Viviana Scarinci, per Iacobelli editore, pubblica «Il libro di tutti e di nessuno», un ritratto storico-politico. La ricezione che accoglie in modo più o meno ideologico un’opera letteraria diviene anch’essa parte della storia che la accompagna, come accadde a Elsa Morante. Laura Fortini
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Chi ha letto i romanzi di Elena Ferrante non può non avvicinarsi con curiosità a questo saggio che non soltanto racconta l’intera produzione dell’autrice, ma ne spiega i rapporti con la cultura internazionale e ne descrive i successi, operando confronti, ad esempio con Virginia Woolf, e recuperando brani di interviste e di articoli della misteriosa scrittrice. Luciana Gallo
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Un libro, questo della Scarinci, molto articolato, apparentemente complesso, ma decisamente fruibile, soprattutto a chi ha letto la produzione della Ferrante, ricco di citazioni letterarie e naturalmente aperto a diversi spunti di riflessione su un tipo di narrazione che mette al centro le donne. Elide Apice
Viviana Scarinci, Il libro di tutti e di nessuno. Elena Ferrante. Un ritratto delle italiane del XX secolo. Iacobelli editore, Guidonia-Roma, 2020, 213 pagine, 16 euro e-Pub 7,99 euro
Leggere Donna “Scarinci, dichiara fin dal sottotitolo la volontà di delineare «un ritratto delle italiane del XX secolo», e lo fa scrupolosamente, come quando traccia la mappa urbanistico-sociologica di una «città di sopra» e di una «città di sotto» che sottende le aspirazioni e i cambiamenti di status che sono raccontati in tutti i romanzi, e che si attaglia alla città di Napoli, ma anche a un panorama dell’anima. Ma ci regala soprattutto una modalità di scrittura coinvolgente e poetica, quasi mimetica rispetto a certe caratteristiche della scrittura di Ferrante che spalanca spaccati di trascendenza avvicinabili ai woolfiani “momenti di essere”, facendoci «affacciare sul tremendo». Marina Vitale
Vitamine vaganti, Toponomastica Femminile Molti pensieri sono scaturiti in noi come corollari di quelli espressi dall’autrice invisibile, proprio come suggeriscono il titolo e le riflessioni di Viviana Scarinci, il cui saggio è un’indispensabile guida alla lettura consapevole dei romanzi, dei saggi e degli articoli di Ferrante. Sara Marsico
Questa è la prima di una serie di iniziative che vedono SIL impegnata nella diffusione, nel riconoscimento e nello studio della poesia scritta da donne. Se non fossi già socio/a, o non ti fossi già associato/a ti preghiamo di considerare di iscriverti alla Società delle Letterate (trovi le modalità all’inizio della homepage https://www.societadelleletterate.it/) per partecipare al nostro impegno e sostenerlo attraverso il tuo contributo.
La registrazione delle due giornate del reading sarà pubblicata sul sito SIL
È ancora possibile partecipare in qualità di ascoltatrici/ascoltatori inviando una email con nome e cognome a societaletterate@gmail.com
Perché abbiamo scelto Piera Oppezzo come madrina ideale di questo reading? E perché ci è sembrato così importante che SIL organizzasse un reading di poesia rivolto alle poete ma anche a tutte/i coloro che vogliono prestare ascolto e voce alla poesia dell’altra? Intorno alla metà degli anni Sessanta Piera Oppezzo abbracciò i temi politici di allora e fu una femminista senza recedere di un passo dall’integrità del suo intendimento poetico: “per sua stessa ammissione, il decennio 1968-1978 fu il periodo più intenso della sua vita, quando il fervore delle speranze e la passione di tutta una generazione le fecero intravedere la possibilità di conciliare vita e scrittura” (L. Martinengo http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/piera-oppezzo/). È da ricercarsi nella speranza, nella conquista e nella riconquista di quella conciliazione: vita con scrittura, il nostro intendimento e il nostro auspicio espresso attraverso le voci che si alterneranno il 3 aprile. Un invito rivolto a poete, lettrici, scrittrici, artiste, cineaste, giornaliste, performer, letterate, studentesse, studiose, traduttrici, editrici, docenti, amanti della cultura, amiche di cui ascoltare la voce poetica, o che prestano la voce alla poesia dell’altra. Ci sembra che ora in un momento complesso come questo la poesia serva più che mai perché appunto, come scriveva Oppezzo, nell’apprensione si perde la memoria, e almeno in questa occasione potremo fare in modo che questo non accada.
Cosa: si tratta di un reading online di poesia su piattaforma Zoom organizzato dalla Società Italiana delle Letterate
Quando: sabato 3 aprile ore 17
Chi: possono partecipare tutte le poete (socie SIL e non) che desiderino leggere una propria poesia (max 25 versi), chi voglia proporre all’ascolto una poesia di altra poeta, chi voglia semplicemente ascoltare il reading
Come: inviare entro il 28 marzo una email a societaletterate@gmail.com specificando il proprio nome e cognome. Per chi voglia partecipare da poeta o da lettrice occorre specificare comunque il titolo e l’eventuale autrice della poesia che si leggerà se si tratta di un inedito o da quale libro sono tratti i versi
Perché: con questo focus sulla poesia contemporanea la SIL inaugura la campagna associativa 2021 ritenendo la promozione della poesia delle donne un’azione politica e culturale di grande importanza. A questo scopo la registrazione del reading verrà inserita su questo sito con la lista delle poete e delle letture eseguite
Marco Longo (1979) – Estensioni (2015) Ciò che nel brano accade riguardo all’esposizione della materia sonora, alla sua (non)evoluzione e ai rapporti timbrici fra saxofono e viola si riassume e si risolve in quello che l’autrice del testo poetico, Viviana Scarinci, scrive riguardo alla propria raccolta Piccole estensioni: “Dovendo individuare a posteriori un tema delle Estensioni,(…) credo che sia il tema della “differenza” quello principale. L’ipotesi immaginosa formulata dalle Estensioni è che al principio non ci sia il verbo, né il silenzio ma una minuscola differenza. Prima di nascere esiste nel microscopico mondo delle Estensioni solo un infinitesimo differire delle singolarità. Ma dopo, al di fuori di questa figurazione nostalgica l’esposizione delle forme visibili avviene attraverso un linguaggio che non evita sinonimi né sperimenta vere mutazioni.” http://www.motocontrario.it/festival-contrasti/festival-contrasti-2015/2-sabato-11-aprile-sala-fondazione-cassa-di-risparmio-musica-e-poesie-operenuove